giovedì 1 ottobre 2009

Piano risanamento (art 67 LF): Finalità e natura

Il piano di risanamento e l’accordo di ristrutturazione sono istituti giuridici di nuova generazione, finalizzati a offrire all’imprenditore non solo in piena crisi ma anche alle difficoltà iniziali possibili rimedi alternativi al fallimento o ad altra analoga procedura concorsuale, in presenza di determinate condizioni previste dalla legge. Per facilitare l’approccio a questi nuovi istituti è indispensabile tenere presente che l’intento del legislatore della riforma è stato quello di offrire validi strumenti giuridici per riorganizzare l’impresa in crisi ove possibile, e per individuare una soluzione liquidatoria concordata con i creditori laddove la ripresa dell’attività imprenditoriale non rappresenti un’ipotesi praticabile. In questa direzione è stata impostata anche la riforma del concordato preventivo, come verrà illustrato negli interventi che seguono, con un’accentuazione delle possibilità di composizione bonaria della crisi e di conservazione del patrimonio rappresentato dall’insieme dei beni e dei rapporti commerciali e giuridici facenti capo all’imprenditore. Dunque l’offerta di alternative alla procedura fallimentare e alle altre procedure concorsuali liquidatorie da un lato e la negoziabilità della crisi tra imprenditore e creditori dall’altro rappresentano i due criteri cardine per comprendere tali istituti e per utilizzarli correttamente.
Con l’introduzione di questi nuovi strumenti a forte impronta negoziale anche l’intervento del giudice è stato ripensato, e così mentre si è ritenuto di affidare il piano di risanamento interamente alla libera determinazione delle parti, il giudice è chiamato a svolgere un ruolo di garante nella fase di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, fino ad assumere una maggiore incisività nel concordato preventivo con rinnovate caratteristiche rispetto alla disciplina ante riforma. Per contro l’accordo del debitore con il ceto creditorio assume diverse connotazioni e diverse intensità nelle singole ipotesi di risoluzione della crisi.
Caratteristica comune a tutte e tre le procedure e principale stimolo a farvi ricorso è la previsione dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in forza di un piano attestato, di un concordato preventivo o di un accordo omologato.
Per quanto concerne il piano di risanamento previsto dall’art. 67, comma 3, lettera d) l.f., la disciplina è scarna e ridotta all’essenziale. Non è previsto alcun controllo o intervento da parte dell’autorità giudiziaria e non è neppure previsto che debba intervenire uno specifico accordo tra l’imprenditore e i creditori. Tuttavia la dichiarata finalità di consentire il “risanamento della esposizione debitoria dell’impresa” e di “assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria” difficilmente potrebbe realizzarsi senza una partecipazione attiva e consenziente dei principali interlocutori dell’impresa, ovvero fornitori, prestatori d’opera e di servizi, lavoratori, ed enti finanziatori, tanto che a proposito del piano “attestato” si parla comunemente anche di “concordato stragiudiziale”.
Il programma affidato dal legislatore a tale strumento appare senz’altro promettente ancorchè impegnativo, non trattandosi soltanto di intervenire per eliminare lo stato di crisi, obbiettivo minimo assegnato dalla norma, ma anche di rimettere in moto il processo economico-produttivo aziendale.
Va tuttavia aggiunto che il piano attestato deve realizzare le finalità di risanamento senza l’ausilio proveniente dalla tutela derivante dalla moratoria dei pagamenti e dal divieto delle azioni esecutive individuali dei creditori, pur offrendo l’indubbio vantaggio dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti, dei pagamenti e delle garanzie, nonchè dell’esclusione di profili di responsabilità penale nel comportamento dei creditori collaboranti con l’impresa che cerca di superare il proprio stato di crisi.

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