sabato 3 ottobre 2009

Rivedere la politica comunitaria a favore dell’innovazione: fai sentire la tua voce

Dall’analisi dei progressi compiuti negli ultimi anni emerge che l'UE ha giustamente
individuato nell’innovazione il principale motore verso un futuro di prosperità. Tuttavia,
rendere l’UE uno spazio veramente dinamico per l’innovazione richiede attenzioni continue
ed esige di sfruttare meglio le potenzialità della cooperazione tra l’UE e i suoi Stati membri
attraverso attività e meglio modulate e coordinate a tutti i livelli.
Pertanto, analizzati i risultati finora ottenuti e gli insegnamenti tratti da quanto svolto, come chiesto dal Consiglio europeo, la Commissione entro la primavera del 2010 intende proporre agli Stati membri, e verificare la fattibilità, di una Legge europea a favore dell’innovazione che affronti tutte le condizioni per uno sviluppo sostenibile e sia una parte integrante e determinante del futuro percorso di riforma dell’UE.

A tal riguardo invita a partecipare ad un sondaggio sull'efficacia delle politiche comunitarie per l'innovazione.
Il sondaggio è disponibile al seguente indirizzo:
http://ec.europa.eu/enterprise/policies/innovation/files/consultation_en.doc

Per maggiori info si veda:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2009:0442:FIN:IT:PDF

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venerdì 2 ottobre 2009

Piano risanamento (art 67 LF): Redazione del piano

Si ritiene che il piano di risanamento ex art 67 legge fallimentare debba specificare analiticamente e dettagliatamente i singoli interventi programmati, nonché evidenziare la relativa tempistica di attuazione, onde scongiurare preventivamente e oggettivamente la formulazione di contestazioni avverso il piano medesimo e quindi garantire la protezione degli atti che ne sono stati esecuzione.

La redazione del piano, successivamente alla definizione delle strategie di risanamento, si sostanzia nella predisposizione dei seguenti documenti:
- conto economico previsionale (budget economico);
- stato patrimoniale previsionale (budget patrimoniale);
- rendiconto finanziario previsionale (budget finanziario).

L’arco temporale di riferimento deve risultare congruo con le azioni di intervento programmate: la costruzione dei budgets deve interessare il lasso temporale ragionevolmente necessario per il conseguimento degli obiettivi di risanamento dell’esposizione debitoria nonché del riequilibrio della situazione finanziaria.

Tralasciando gli aspetti tecnici di elaborazione dei singoli documenti, i quali rischierebbero di appesantire eccessivamente la presente trattazione, di seguito viene riportato lo schema da seguirsi nell’ambito del processo di elaborazione del business plan:
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Piano risanamento (art 67 LF): La relazione del professionista

L’art. 67, comma 3, lettera d), legge fallimentare, dispone che la ragionevolezza del piano debba essere attestata, ex ante, ai sensi dell’art. 2501-bis, comma 4, c.c., ovvero la norma che disciplina la fusione a seguito di acquisizione con indebitamento.
L’analogia sembra trovare la propria giustificazione nel fatto che in ambo i casi la normativa di riferimento richiede espressamente la “sistemazione” dei debiti, la quale deve essere dimostrata mediante un apposito business plan realistico e congruente, benché, nel caso della fusione, tale attività previsionale riguardi esclusivamente le obbligazioni contratte in seguito all’acquisizione delle azioni della società target, mentre, nel caso di specie, essa deve aver riguardo all’indebitamento complessivo.
Il rinvio operato dal legislatore all’art. 2501-bis, comma 4, c.c., il quale a sua volta richiama l’art. 2501-sexies c.c., è suscettibile di una duplice interpretazione, ovvero:
a) il richiamo all’art. 2501-sexies c.c. implica l’applicabilità di tutte le norme presupposte da tale disposto;
b) il rinvio all’art. 2501-sexies c.c. definisce esclusivamente il contenuto dell’attestazione che l’esperto è tenuto a rilasciare.

Laddove si ritenga corretto aderire alla prima soluzione, tesi ritenuta peraltro preferibile da parte della dottrina, l’esperto deve essere:
- un revisore contabile o una società di revisione iscritta nell’apposito albo tenuto presso il Ministero di Giustizia;
- una società di revisione, in caso di società quotate nei mercati regolamentati.

La designazione dell’esperto è lasciata alla libera iniziativa dell’imprenditore. (si veda in tal senso la pronuncia del Tribunale di Mantova del 31.03.2009 )

L’esperto, non può limitarsi a recepire i dati aziendali forniti dall’imprenditore senza effettuare alcun controllo degli stessi ed esimendosi dall’assunzione di responsabilità in ordine alla loro veridicità.
Il rinvio operato all’art. 2501-bis, c.c., infatti, implica l’applicabilità anche dell’art. 2501-sexies, comma 5, c.c.: ne consegue il potere – dovere dell’esperto di richiedere e ottenere tutte le informazioni utili. Argomentando diversamente, laddove, al verificarsi di talune circostanze, emergessero incongruenze e/o incompletezze rispetto alla documentazione a suo tempo fornita, l’esperto non potrebbe essere considerato esente da responsabilità.

L’attestazione di ragionevolezza del piano si estrinseca in una valutazione prognostica ex ante dell’attendibilità delle previsioni in esso contenute, ovvero della ragionevole probabilità che il medesimo, al momento della sua predisposizione, appaia idoneo a consentire il conseguimento del risultato sperato, come tale, la soluzione della crisi dell’impresa.
L’esperto, peraltro, non sembra possa limitarsi a una mera enunciazione di ragionevolezza del piano: egli, onde consentire ai terzi di poter congruamente valutare sia i requisiti del programma che l’attestazione medesima, si ritiene debba illustrare le ragioni che ne hanno consentito il rilascio. L’esperto, infatti, attestando la ragionevolezza del piano, ne garantisce indirettamente la sussistenza del requisito dell’idoneità, ovvero dell’adeguatezza al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della situazione finanziaria nonché del risanamento dell’esposizione debitoria.
L’esperto, dunque, deve attestare la verosimile razionalità – fattibilità del piano in relazione al conseguimento dei suddetti obiettivi, nonché, in particolare, evidenziare l’idoneità delle risorse finanziarie ad assorbire l’esposizione debitoria, operando pertanto un’esposizione descrittiva del cosiddetto turnaround aziendale.

Il piano, affinché possa essere ritenuto attendibile nonché realizzabile, deve possedere i seguenti requisiti, di cui l’esperto è tenuto a verificarne preventivamente la sussistenza:
- compatibilità con le dinamiche del mercato di riferimento;
- confrontabilità con i trends storici (l’onere dell’imprenditore di fornire elementi che possano attestare la validità e l’attendibilità dei risultati prospettici del piano è tanto più gravoso e imprescindibile quanto più essi si discostano da quelli passati, in particolare qualora appaia elevato il livello di difficoltà del piano medesimo);
- adeguatezza delle risorse disponibili in ordine al conseguimento degli obiettivi prefissati;
- coerenza della situazione di partenza con gli obiettivi e le modalità del piano, oltre che con le strategie economico – finanziarie in esso contemplate.

Il rilascio dell’attestazione in esame implica altresì l’effettuazione di ulteriori preventivi controlli finalizzati alla verifica della sussistenza dei seguenti elementi:
- la correttezza dei dati esposti nel piano;
- la conformità dei documenti previsionali agli standards raccomandati dai principi contabili;
- l’accuratezza di calcoli matematici;
- la competenza nonché le esperienze professionali dei soggetti responsabili del lavoro.

Il rilascio dell’attestazione di ragionevolezza ex art. 2501-bis, comma 3, c.c., sembra rappresentare il momento in cui possono ritenersi conseguiti gli effetti derogatori della revocatoria di cui all’art. 67, comma 3, lettera d), l.f., nell’ipotesi di successiva dichiarazione di fallimento dell’impresa, indipendentemente da qualsiasi pubblicazione del piano.
La tesi secondo la quale l’efficacia dell’esenzione potrebbe retroagire a una data antecedente il rilascio dell’attestazione, purché l’idoneità del piano sia stata riconosciuta, non sembra possa essere accolta, in quanto il giudizio dell’esperto rappresenta un elemento essenziale e imprescindibile, in assenza del quale l’immunizzazione da revocatoria degli atti compiuti dall’imprenditore non può realizzarsi.

Parte della dottrina sostiene che il rilascio di siffatta attestazione non precluda la possibilità della proposizione di un’azione risarcitoria da parte del curatore ovvero dei soli creditori laddove vi sia un pregiudizio economico ricollegabile causalmente all’operato di una banca che, avendo erogato credito all’impresa successivamente rivelatasi insolvente e come tale dichiarata fallita, abbia indotto altri creditori a concedere credito ovvero a fornire beni o servizi nei confronti della medesima.

L’astratta risanabilità dell’azienda presupposta da un piano liquidatorio, anche di tipo misto, ovvero finalizzato alla conservazione dell’integrità di uno o più rami dell’azienda, non è sufficiente a legittimarne l’adozione: sussiste convenienza economica alla ristrutturazione, infatti, unicamente allorquando sia ipotizzabile un’adeguata remunerazione del capitale a tal fine necessario mediante i redditi prospettici e, comunque, laddove i costi necessari per la ristrutturazione siano di entità inferiore al valore dell’azienda risanata.
L’esperto, dunque, onde poter formulare un corretto giudizio in ordine alla ragionevolezza di un piano liquidatorio, è tenuto a verificare la sussistenza di margini di intervento nonché, in caso affermativo, della convenienza economica alla prospettata ristrutturazione. Risulta evidente che la discriminante è sempre rappresentata dalla corretta individuazione sia della tipologia di crisi che delle relative cause, circostanza che ribadisce il ruolo di primaria importanza che tale attività assume in sede di predisposizione della relazione in esame.
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Piano risanamento (art 67 LF): Interventi propedeutici alla redazione del piano di risanamento

L’impostazione di un piano di risanamento, ex art 67 legge fallimentare, non può prescindere da un’attenta e preventiva verifica di fattibilità, la quale implica un’altrettanto attenta e approfondita analisi dei vincoli esterni e interni all’impresa.

I vincoli esterni all’azienda sono rappresentati:
- dalle condizioni economiche, sociali, politiche e giuridiche dell’ambiente in cui l’azienda opera;
- dal mercato di sbocco e dalla domanda del prodotto realizzato e/o commercializzato dall’impresa;
- dai punti di forza e di debolezza dei concorrenti;
- dalla situazione del mercato del lavoro, della tecnologia e degli altri fattori produttivi necessari allo svolgimento dell’attività d’impresa;
- dalla situazione del mercato dei capitali.

I vincoli interni all’azienda sono i seguenti:
- la disponibilità di personale dotato del necessario know how;
- il possesso di adeguate risorse tecnologiche;
- la reperibilità di fattori produttivi adeguati;
- la disponibilità di risorse finanziarie adeguate;
- la struttura organizzativa interna;
- le relazioni umane tra i soggetti dell’impresa.

Il piano, dovendo fornire l’evidenza numerica dei singoli interventi di risanamento previsti, quanto meno di quelli di maggiore importanza, richiede la preventiva formulazione della previsione delle sue risultanze, da effettuarsi sulla scorta della situazione di partenza nonché, in particolare, delle informazioni acquisite mediante l’analisi di bilancio.

Tale fase, dunque, assume fondamentale rilievo in quanto consente all’esperto di poter accertare l’esistenza o meno della concreta possibilità di realizzazione degli obiettivi programmati, ovvero della ragionevolezza del piano.
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Piano risanamento (art 67 LF): Valutazione comparata del risanamento e delle ipotesi alternative di cessione e di liquidazione

L’utilizzo dell’istituto ex art 67 legge fallimentare sembra sia precluso all’imprenditore che, mediante il piano, intenda attuare un processo di liquidazione dell’azienda, in quanto il piano di cui all’art. 67 l.f., diversamente dagli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis l.f. nonché dal concordato preventivo, stante il riferimento al riequilibrio della situazione finanziaria, sembra presupporre una visione dinamica dell’attività, ovvero la continuità aziendale.
L’accoglimento di siffatta interpretazione normativa consentirebbe di giustificare, da un lato, l’unilateralità dell’atto e quindi l’assenza di un’apposita procedura omologatoria ovvero di una speciale vicenda concorsuale, dall’altro, il vincolo giuridico del riequilibrio della situazione finanziaria, il quale, infatti, sembra presupporre una visione dinamica dell’attività nonché costituire l’effetto indispensabile di una programmazione aziendale che preluda, mediante il superamento della crisi, alla prosecuzione dell’attività d’impresa.

Si ritiene, comunque, che, benché la continuità aziendale sembri costituire l’obiettivo finale che il legislatore ha inteso privilegiare, non sia dato escludere che il piano possa prefiggersi il conseguimento del risanamento mediante la parziale liquidazione dell’impresa, ritenendo plausibile la cessione di singoli rami d’azienda.
Si ritiene altresì che la formulazione di un piano che contempli un’ipotesi liquidatoria esclusivamente per il caso di insuccesso, ovvero laddove non vengano raggiunti gli obiettivi prefissati in termini di liquidità, solvibilità o redditività, possa essere ritenuta conforme al dettato normativo.
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Piano risanamento (art 67 LF): ricerca delle cause della crisi

Lo stato di crisi, del quale non esiste una definizione normativa, è uno status che, pur ricomprendendo la vera e propria insolvenza irreversibile, può anche consistere in uno squilibrio economico – finanziario che pone l’impresa a rischio di insolvenza.
Tenuto conto dell’avallo di siffatta impostazione fornito da parte della prevalente giurisprudenza, sembra pertanto corretto affermare che la nozione di “crisi” possa includere variegate situazioni di difficoltà gestionale che possono identificarsi tanto con la temporanea difficoltà ad adempiere (insolvenza reversibile), quanto con l’insolvenza irreversibile di cui all’art. 5 l.f..

Di insolvenza “reversibile” può parlarsi allorquando la crisi sia di natura finanziaria, la quale è caratterizzata dalla presenza di un rapporto insoddisfacente tra il fabbisogno finanziario e le fonti di finanziamento, ovvero, dalla presenza di mezzi finanziari inadeguati, sia quantitativamente che qualitativamente, per il sostenimento degli impegni gestionali.
Il fabbisogno finanziario è costituito dall’insieme degli investimenti (attivo dello stato patrimoniale); le fonti di finanziamento sono rappresentate dal passivo dello stato patrimoniale. Affinché si possa parlare di equilibrio finanziario è necessario che sussista un corretto rapporto di correlazione tra la struttura degli investimenti e quella dei finanziamenti. In particolare:
- la parte durevole degli investimenti (attivo immobilizzato) deve essere soddisfatta mediante il capitale di rischio nonché da quello di credito a medio/lungo termine [(Cp+Pc) – I > 0, dove Cp = capitale proprio, Pc = passività consolidate, I = immobilizzazioni];
- la parte degli investimenti a breve termine (attivo corrente) deve essere soddisfatta mediante finanziamenti anch’essi di tipo corrente [(Ab – Pb) > 0, dove Ab = attività correnti, Pb = passività correnti].

L’insolvenza “irreversibile”, al contrario, denota la presenza di una crisi di natura economico – finanziaria, il tertium genus individuato dalla dottrina aziendalistica, ove a una situazione di illiquidità si associa altresì la mancanza di equilibrio economico, quindi di redditività, ovvero l’incapacità dell’impresa di remunerare mediante i propri ricavi i fattori produttivi.

L’individuazione delle cause della crisi aziendale, dunque, costituisce una fase di estrema rilevanza, in quanto, corrispondendo a ciascuna di esse altrettanto differenti tipologie di crisi e, quindi, di criteri di apprezzamento delle soluzioni prospettabili, consente la formulazione di un corretto giudizio nonché la definizione delle più appropriate strategie di intervento.

Le cause di una crisi di natura finanziaria possono essere, a puro titolo esemplificativo, le seguenti:
- sottocapitalizzazione dovuta alla mancanza di mezzi propri dell’imprenditore ovvero a un scelta deliberata di non effettuare autofinanziamento;
- errori strategici in sede di formulazione di programmi di sviluppo (es. la realizzazione di un nuovo stabilimento non adeguatamente supportato da finanziamenti a medio/lungo termine);
- allungamento della durata dei crediti, con conseguente alterazione del ritmo dei flussi finanziari in entrata e perdita di correlazione con quelli in uscita;
- eccessivo ricorso all’indebitamento finanziario.

La crisi di natura economica può trarre origine da molteplici cause, tra le quali:
- decadimento commerciale dei prodotti;
- crisi della cultura di impresa, la quale può derivare da carenza di imprenditorialità, di innovazione, di creatività, etc.;
- obsolescenza dell’impianto produttivo;
- inefficienza della struttura organizzativa e/o produttiva (eccessivo aumento dei costi di struttura, di sviluppo dei prodotti, dei costi di distribuzione, dei costi per materie prime, etc.);
- perdita di competitività da imputarsi alla presenza di prodotti qualitativamente inferiori rispetto a quelli della concorrenza;
- eccessiva rigidità della struttura organizzativa e produttiva ovvero nelle risorse umane, circostanza che, in periodi di crisi generale del mercato, può portare all’adozione di politiche di ribasso al fine di ottenere ordinativi non remunerativi onde poter ottenere la parziale copertura dei costi fissi;
- crisi generale di mercato.
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Piano risanamento (art 67 LF): definizione delle strategie

L’individuazione delle cause generatrici della crisi e, quindi, della relativa tipologia consente la corretta definizione delle strategie di intervento.

La definizione delle strategie di risanamento, ex art 67 legge fallimentare, in virtù di quanto suggerito dalla dottrina, richiede l’adozione di forme similari a quelle del business plan, il quale, tecnicamente, si sostanzia in quattro documenti:
- piano industriale;
- conto economico previsionale (budget economico);
- stato patrimoniale previsionale (budget patrimoniale);
- rendiconto finanziario previsionale (tavole analitiche del cash flow previsto).

Occorre precisare che la predisposizione di un vero e proprio piano industriale si rende necessaria unicamente laddove il piano sia preordinato alla risoluzione di una crisi non soltanto finanziaria bensì anche economica. Ne consegue che, in presenza di una crisi di natura esclusivamente finanziaria possono assumersi come elementi prospettici attendibili i dati consuntivi desunti dall’ultimo conto economico (salvo mutamenti del mercato di riferimento); laddove la crisi sia altresì di natura economica, si rende necessaria la formulazione di nuovi obiettivi di marketing nonché di efficienza dei fattori produttivi.

Il piano sembra possa contemplare strategie alternative, da utilizzarsi unicamente qualora dovessero realizzarsi scostamenti significativi rispetto all’ipotesi principale.

In dottrina viene proposta la seguente classificazione degli interventi di risanamento, conformi alle varie tipologie di cause di crisi esposte nel precedente paragrafo:
1) rigenerazione dei valori aziendali (per esempio, implementazione di nuovi progetti, incremento del grado di soddisfazione della clientela, incremento del livello di motivazione del personale, etc.);
2) innovazione dei prodotti e dei processi produttivi;
3) riconversione produttiva (indispensabile allorquando la crisi sia imputabile a errori strategici associabili a crisi del settore nonché di saturazione del mercato);
4) nuovo orientamento strategico (per esempio, operazioni di dismissione, di scorporo, di liquidazione di rami aziendali, necessarie qualora lo sviluppo dell’impresa, in virtù di erronee strategie di portafoglio, sia stato realizzato in settori non correlati a quello della sua attività principale, quindi non rientranti nel core business dell’impresa);
5) ridimensionamento (realizzabile mediante licenziamenti, chiusura di stabilimenti, etc.);
6) ristrutturazione organizzativa interna (spesso si rende necessaria anche la sostituzione del management, onde conseguire la netta discontinuità rispetto alla gestione precedente, nonché la nomina di un consulente per la predisposizione di un piano di risanamento, al fine di infondere fiducia nei creditori e nei terzi che intrattengono rapporti con l’impresa);
7) creazione di un comitato di sorveglianza incaricato del monitoraggio del piano;
8) sostituzione di parte dei componenti gli organi sociali con soggetti “graditi” al comitato di sorveglianza;
9) ristrutturazione organizzativa esterna;
10) ristrutturazione tecnico produttiva.

Le strategie finalizzate al recupero dell’equilibrio economico finanziario, come tali dirette alla riduzione dell’indebitamento e alla generazione di liquidità, possono essere le seguenti:
- riduzione dell’indebitamento a breve termine operando la compensazione con titoli eventualmente costituiti in pegno;
- consolidamento, a un tasso rinegoziato, delle esposizioni debitorie sia a breve che a medio/lungo termine;
- mantenimento delle linee di credito autoliquidanti presenti al momento in cui la crisi è insorta;
- dismissione delle attività non remunerative ovvero ritenute non strategiche, nonché, eventualmente, dei beni ritenuti non strumentali, utilizzando il netto ricavo per la riduzione del passivo corrente, con conseguente miglioramento della situazione finanziaria e, quindi, degli indici di liquidità;
- ricapitalizzazione, ovvero introduzione di nuova finanza da parte dei soci;
- pactum de non petendo al fine di poter garantire la moratoria dei pagamenti nonché l’astensione dall’esercizio di azioni esecutive nel periodo di esecuzione del piano;
- datio in solutum di beni, con conseguente miglioramento della situazione finanziaria oltre che degli indici di liquidità laddove esse riguardino lo scambio tra attività o diritti immobilizzati con passività correnti.
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Piano risanamento (art 67 LF): le fasi di formazione del piano

La predisposizione del piano ex art. 67 legge fallimentare, pur non essendovi, come peraltro già precisato, schemi obbligatori ovvero preconfezionati cui attenersi, può articolarsi nelle seguenti fasi:
a) ricerca delle cause della crisi;
b) definizione delle strategie;
c) valutazione comparata del risanamento e delle ipotesi alternative di cessione e di liquidazione;
d) interventi propedeutici alla redazione del piano di risanamento;
e) redazione del piano;
f) attuazione e verifica dell’esecuzione del piano.
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Piano risanamento (art 67 LF) - Scopi: risanamento o ristrutturazione dei debiti

L’art. 67, comma 3, lettera d), legge fallimentare non tiene conto del fatto che, nella maggioranza dei casi, l’insostenibile esposizione debitoria trae origine da un precedente squilibrio economico.
Il legislatore, infatti, richiedendo la predisposizione di un piano “stragiudiziale attestato” idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria, nonché a consentire il riequilibrio della struttura finanziaria, ha inteso porre l’accento esclusivamente sull’aspetto finanziario.
Occorre osservare, però, che, laddove il piano persegua il solo obiettivo della eliminazione dello squilibrio finanziario nonché della riduzione dell’entità dei debiti, in assenza di interventi dal punto di vista economico (finalizzati, per esempio, alla riqualificazione dei processi produttivi ovvero all’incremento dei margini operativi di redditività), il rischio è rappresentato dal conseguimento di un ripristino solo temporaneo della solvibilità del debitore oltre che di risultati positivi esclusivamente nel breve periodo.
Trattasi, come è stato efficacemente osservato in dottrina, di uno strumento esoconcorsuale, di portata nettamente più ampia dei piani di cui all’art. 182 – bis, l.f., non essendo limitato esclusivamente alla ristrutturazione dei debiti.
Non appare pertanto concepibile la predisposizione di un piano che contempli esclusivamente interventi finalizzati soltanto alla riduzione dell’esposizione debitoria, in quanto il conseguimento di un equilibrio finanziario stabile presuppone necessariamente un processo di risanamento che investa l’impresa nel suo complesso, il quale, come tale, non può prescindere dalla preventiva rimozione delle cause di crisi economica e quindi dal ripristino di un rapporto equilibrato tra costi e ricavi.
Il piano di risanamento, come già rilevato, rappresenta infatti uno strumento utilizzabile per la gestione di operazioni di turnaround aziendale, aventi l’obiettivo del ripristino dell’equilibrio sia economico che finanziario.

Risanamento dell’esposizione debitoria
Il riequilibrio della situazione finanziaria richiesto dalla norma nonché il riferimento al risanamento dell’esposizione debitoria sembrano implicare la necessità del conseguimento, mediante l’esecuzione del piano, dell’integrale soddisfazione di tutti i creditori.
Tale assunto può ritenersi corretto unicamente in relazione a piani di tipo liquidatorio, i quali possono peraltro contemplare la prosecuzione temporanea dell’attività in vista della futura cessione dell’azienda, ma non anche in presenza di piani di natura dinamica, i quali, preludendo alla continuità aziendale, implicano ovviamente la presenza di debiti di funzionamento connessi alla correntezza della gestione operativa.
L’esposizione debitoria, dunque, deve ritenersi “risanata” laddove l’entità della medesima subisca una sensibile riduzione.

L’obiettivo del risanamento dell’esposizione debitoria può essere conseguito mediante interventi sia esterni che interni. A titolo puramente esemplificativo, rientrano nell’ambito della categoria degli interventi di matrice esterna:
- la ricapitalizzazione (apporti di patrimonio netto);
- il consolidamento dei debiti, ovvero l’impegno da parte dei creditori a non richiederne il pagamento prima di un termine prestabilito;
- la conversione dei crediti in capitale di rischio;
- la remissione di debiti;
- il pagamento in percentuale di taluni debiti, purché il creditore dichiari espressamente di voler rinunziare a una parte del proprio credito, conformemente alla proposta concordataria formulata stragiudizialmente da parte del debitore;
- la contrazione dei tassi di interesse sui finanziamenti bancari;
- l’erogazione di nuove risorse finanziarie mediante la conversione dei debiti a breve termine in debiti a medio lungo termine;
- la falcidia, ovvero il pagamento percentuale, di tutti i debiti, purché i creditori manifestino espressamente il consenso alla medesima, non potendo il debitore disporre dei diritti di soggetti estranei al piano. L’acquisizione del consenso dei creditori, peraltro, nella fattispecie considerata deve ritenersi indispensabile onde poter garantire il rispetto della par condicio creditorum. Laddove venga adottata tale strategia di intervento, il risanamento consente il conseguimento dell’integrale soddisfazione del ceto creditorio.

Sempre a titolo esemplificativo, rientrano nell’ambito della categoria degli interventi a matrice interna:
- la dismissione di beni strumentali non essenziali;
- la riduzione di costi di produzione;
- il licenziamento del personale in esubero.

Riequilibrio della situazione finanziaria
Il rischio aziendale diviene tanto più elevato quanto più alto risulti essere il rapporto tra il capitale dei terzi e quello proprio (o di rischio): ne consegue che il riequilibrio della situazione finanziaria implica la riduzione del grado di indebitamento dell’impresa.
La presenza di un disequilibrio finanziario, pertanto, denota la presenza di rapporto non soddisfacente tra l’entità del fabbisogno finanziario e quella delle fonti di finanziamento, oltre che di un’alterazione sia dell’entità che della cadenza temporale dei flussi finanziari in entrata e in uscita originati dai circuiti operativi della gestione.

Gli interventi finalizzati al ripristino dell’equilibrio finanziario richiedono la preventiva individuazione della tipologia di crisi oltre che delle relative cause, argomento di cui verrà trattato nel prosieguo.
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Piano risanamento (art 67 LF): Contenuto e oggetto

L’art. 67, comma 3, lettera d), legge fallimentare, stabilisce che sono esenti da revocatoria fallimentare “gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell’art. 2501 - bis, quarto comma, del codice civile”.

Il piano di risanamento, dunque, affinché possa produrre l’effetto di rendere immuni da revocatoria tutti gli atti compiuti dall’imprenditore, deve essere dotato dei seguenti requisiti:
a) idoneità a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa;
b) idoneità ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa;
c) ragionevolezza, asseverata mediante apposita relazione da parte di un esperto ai sensi dell’art. 2501 – bis, comma 4, c.c..

Il legislatore nulla dispone in merito al contenuto, alle formalità, alla struttura nonché al procedimento di formazione del piano: la norma richiamata, infatti, non presuppone né un accordo con i creditori, né una qualsiasi forma di procedimento giudiziario, come, per esempio, l’omologa oppure una particolare vicenda concorsuale.
Ne consegue che il piano può essere il frutto della volontà dell’imprenditore, ovvero consistere in un atto a iniziativa unilaterale, a formazione contrattuale meramente eventuale, la cui efficacia risulta essere del tutto svincolata da una condivisione negoziale e/o processuale.
Tenuto conto dei connotati tecnici che caratterizzano il piano, comunque, sembra innegabile che la predisposizione nonché l’elaborazione del medesimo debbano essere affidate a un professionista all’uopo prescelto.

Deve rilevarsi che la totale mancanza di un qualsiasi collegamento a istituti civilistici nonché di appositi criteri da osservarsi in sede di predisposizione del piano rischia di compromettere il successo di tale istituto.
A tale riguardo, occorre peraltro chiedersi se, in caso di insuccesso e, dunque, di successiva dichiarazione di fallimento dell’impresa, nonché laddove il curatore promuova un’azione finalizzata al conseguimento della declaratoria di inefficacia degli atti esecutivi del piano, il giudice investito della controversia abbia altresì il potere di entrare nel merito dell’attestazione di ragionevolezza rilasciata da parte dell’esperto e, quindi, di disattendere le determinazioni di quest’ultimo. La risoluzione della problematica, di ordine duplice, richiede di appurare in via preliminare se l’attestazione peritale in discorso sia dotata o meno del requisito della intangibilità.
L’attestazione di ragionevolezza del piano rilasciata dall’esperto potrebbe ritenersi dotata di siffatto requisito in virtù delle seguenti considerazioni:
- essa costituisce parte integrante di una perizia giurata;
- come verrà specificato nel prosieguo, non vi sono disposizioni normative che impongano il rispetto di condizioni minimali ovvero di principi cui attenersi in sede di predisposizione della relazione.
Pertanto, qualora siffatta interpretazione venga ritenuta meritevole di accoglimento, deve ritenersi negata non soltanto la sussistenza in capo al giudice del potere di esame di merito dell’attestazione, bensì anche la possibilità da parte di questi di sovvertirne i contenuti mediante l’utilizzo di parametri di valutazione diversi da quelli di cui l’esperto si è avvalso. Il giudice, pertanto, deve incentrare la propria valutazione esclusivamente sul piano; qualora ve ne siano i presupposti, può altresì valutare eventuali ipotesi di collusione da parte dell’esperto con gli organi societari e/o con il debitore.

Laddove, al contrario, si ritenga che l’attestazione di ragionevolezza non possa ritenersi dotata del requisito della intangibilità, stante l’assenza di disposizioni normative che impongano all’esperto il rispetto di condizioni minimali ovvero di principi cui attenersi in sede di predisposizione della relazione, deve riconoscersi in capo al giudice il potere di entrare nel merito dell’attestazione.
Pertanto, qualora si propenda per l’accoglimento di tale interpretazione, potrebbe verosimilmente accadere che un piano, benché la relativa idoneità a consentire il conseguimento degli obiettivi di cui all’art. 67 l.f. sia stata suffragata da parte dell’esperto, possa non essere considerato dotato di siffatto requisito da parte di un giudice che utilizzi, legittimamente e discrezionalmente, parametri di valutazione diversi da quelli considerati dall’esperto.

Occorre precisare che la sussistenza del requisito dell’idoneità del piano di risanamento, da riguardarsi dal punto di vista sia del redattore che dei terzi, ovviamente, non può essere mai posta in discussione ex post ma esclusivamente ex ante, dato che essa attiene necessariamente all’epoca della formazione del piano medesimo (si rinvia al capitolo concernente la contestazione del piano per gli opportuni approfondimenti della tematica).

La nozione di piano di cui all’art. 67, comma 3, lettera d), l.f., pertanto, si distacca completamente da quella di cui all’art. 182-bis, l.f., ove è richiesto l’accordo con tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti, nonché da quello contemplato nell’ambito del concordato preventivo di cui all’art. 160 l.f., ove viene richiesto il consenso della maggioranza. Il piano di risanamento in esame condivide con tali disposizioni esclusivamente l’immunità da revocatoria degli atti compiuti in sua esecuzione in caso di successiva dichiarazione di fallimento dell’imprenditore.
Il piano di risanamento, infatti, rappresenta uno strumento da utilizzarsi per la gestione di operazioni di turnaround aziendale, ovvero di riequilibrio economico e finanziario, ove il soddisfacimento dei creditori non rappresenta l’obiettivo diretto e primario che invece contraddistingue le altre tipologie di piani citate.


Il piano, dunque, tenuto conto di quanto sinora esposto, affinché possa produrre l’effetto della immunizzazione da revocatoria di tutti gli atti compiuti in sua esecuzione, in caso di insuccesso e di conseguente dichiarazione di fallimento dell’impresa, deve essere dotato dei seguenti requisiti:
a) il tenore descrittivo deve essere tale da evidenziare chiaramente la sua idoneità a raggiungere gli obiettivi di cui all’art. 67 l.f., ovvero la sua funzionalità al risanamento dell’esposizione debitoria e al riequilibrio della situazione finanziaria (cosiddetto requisito dell’apparenza);
b) la relativa ragionevolezza deve essere attestata da parte di un esperto ai sensi dell’art. 2501 – bis, comma 4, c.c..
Non vi sono ulteriori vincoli normativi quanto al contenuto del piano.

Si ribadisce che il requisito dell’apparenza deve essere riferito all’epoca in cui il piano è stato predisposto, nonché considerando il punto di vista sia del redattore che del terzo che potrebbe beneficiare dell’immunizzazione da revocatoria relativamente agli atti di realizzazione del piano medesimo.

Il piano deve apparire idoneo “…ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria…”: ne consegue che, avendo il legislatore chiaramente ipotizzato, mediante l’utilizzo di tale espressione, la sussistenza di una situazione di crisi aziendale, il presupposto oggettivo del piano è rappresentato dalla presenza di uno squilibrio finanziario, dunque di una crisi di natura analoga.
Il “risanamento dell’esposizione debitoria”, invece, sul quale il dettato normativo sembra porre l’enfasi, costituisce un obiettivo del piano, come tale non identificabile in un mero strumento finalizzato al ripristino dell’equilibrio finanziario. Il concetto di risanamento, infatti, sembra assumere un significato di portata più ampia rispetto a quello di ristrutturazione dei debiti, oggetto del piano di cui all’art. 182-bis l.f., in quanto esso sottende interventi che investono l’impresa nel suo complesso, non essendo concepibile il conseguimento di un equilibrio finanziario agendo esclusivamente sul lato debitorio.

Il piano, laddove la crisi non sia esclusivamente finanziaria bensì anche economica e, quindi, al disequilibrio tra la struttura degli investimenti e quella dei finanziamenti, si accompagni altresì l’incapacità di generazione della redditività, deve proporsi come mezzo di riorganizzazione aziendale globale e, come tale, deve contemplare misure di risanamento di natura sia economica che finanziaria.

L’analisi previsionale del fabbisogno finanziario di un’impresa in crisi, peraltro, non può prescindere né dall’inquadramento della gestione caratteristica, né dalle esigenze dei programmi di investimento nell’ottica della prosecuzione dell’attività d’impresa. Trattasi, in definitiva, di un’operazione di ristrutturazione globale che deve incidere sia sui debiti che sulla leva finanziaria.
Ne consegue che i piani di risanamento non possono avere un contenuto meramente dilatorio o remissorio, come invece accade laddove venga perseguita la finalità liquidatoria, dovendosi porre quale obiettivo di fondo la continuità aziendale, ovvero assumere prevalentemente natura dinamica.
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Piano risanamento (art 67 LF): Il presupposto oggettivo

Poiché il “piano di risanamento” non è una procedura in senso stretto, nell’art. 67 3° comma lett. d) legge fallimentare non si può ricercare un vero e proprio presupposto oggettivo di ammissibilità a una procedura concorsuale. La norma, infatti, nel riferirsi a un progetto industriale che sia idoneo a risanare e a riequilibrare la situazione economico-finanziaria dell’impresa, istituisce una figura negoziale che, almeno inizialmente, è assimilabile a un atto di gestione interno alla società.
Tuttavia proprio le caratteristiche che connotano tale atto di gestione, e in particolare la finalità di esentare dalla revocatoria fallimentare, fanno comprendere che l’applicazione dell’istituto presuppone che l’imprenditore che vi ricorre si debba trovare in una condizione tipica e oggettiva diversa dalla normale operatività d’impresa: tale condizione è costituita da uno stato di difficoltà economico-finanziaria equiparabile allo “stato di crisi”, non essendo possibile ricorrere ai vantaggi che la norma offre se l’impresa si trova in condizione di normalità e buona salute. Non è neppure richiesto un vero e proprio stato di insolvenza, posto che lo scopo principale della norma, che è quello di consentire all’impresa di riprendere con profitto la propria attività, appare meno facilmente perseguibile in una situazione di decozione. Va tuttavia aggiunto che è astrattamente possibile ricorrere al piano attestato anche in situazione di stato di insolvenza, che è espressione di un aggravamento della crisi d’impresa. Per una più ampia illustrazione dello stato di crisi si rimanda al capitolo sul concordato preventivo.
Il piano attestato può avere il contenuto più ampio e non richiede necessariamente uno specifico accordo tra l’imprenditore e parti terze. Il piano può consistere in un progetto unilaterale predisposto dall’imprenditore contenente in via esemplificativa ipotesi di scorporo, cessione di rami d’azienda, riassetto all’interno dell’organizzazione dell’impresa, conferimenti di nuovi beni o erogazioni di finanziamenti da parte dei soci, ovvero esplicarsi in uno o più accordi con terzi creditori tendenti alla rinegoziazione dei debiti o con nuovi investitori per l’aumento di capitale sociale o con soggetti finanziatori per ricevere nuova finanza liquida.
L’ipotesi che il piano attestato divenga lo strumento per concludere accordi di rinegoziazione dei debiti e per accedere a nuove opportunità nel mercato del credito è la più realistica, dato che esso si presenta quale strumento tipico per consentire la realizzazione di concordati stragiudiziali tra imprenditore-debitore e suoi creditori, concordati che anche prima della riforma venivano perseguiti senza, tuttavia, una specifica tutela apprestata dall’ordinamento giuridico.
L’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti, dei pagamenti e delle garanzie poste in essere con lo strumento in esame persegue l’evidente finalità di favorire tali accordi che debbono esaurire il loro iter senza alcun intervento da parte dell’autorità giudiziaria. Va aggiunto che, per contro, è prevedibile che tali piani potranno godere di maggiore fortuna tra interlocutori – imprenditore da una parte e terzi contraenti dall’altra - professionalmente organizzati e dotati di autonoma capacità di valutazione, prescindendo dalla garanzia che possono offrire le procedure caratterizzate da un controllo giudiziale esercitato, sia pure con limitate possibilità di sindacazione, nell’interesse della generalità dei creditori, come avviene negli accordi di ristrutturazione e nel concordato preventivo.
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Piano risanamento (art 67 LF):Il presupposto soggettivo

Al piano di risanamento di cui all’art. 67 comma 3, lettera d) legge fallimentare, detto comunemente anche “piano attestato”, possono fare ricorso tutti i soggetti passibili di fallimento. Si è indotti a tale conclusione, in assenza di un’espressa indicazione nel dettato normativo, dalla caratteristica principale dell’istituto, ovvero di esentare gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore, dalla revocatoria fallimentare, beneficio che non sarebbe ragionevole applicare a soggetti non fallibili. Tra i soggetti fallibili, che quindi possono ricorrere a tale strumento, vanno annoverati sia l’imprenditore costituito in forma collettiva, ovvero la società, sia l’imprenditore individuale, senza che possa costituire un ostacolo a ciò il richiamo all’art. 2501 - bis, quarto comma del codice civile, norma dettata in tema di fusione tra società conseguente ad acquisizione per indebitamento (c.d. leveraged buy out). Tale norma, infatti, viene richiamata nell’ art. 67 comma 3, lettera d) l.f. al solo scopo di stabilire le caratteristiche che il piano deve possedere e non sembra che vi si debba fare ricorso, neppure indirettamente, per ricercare un’indicazione sul presupposto soggettivo di applicabilità della norma.
Pertanto il presupposto soggettivo per ricorrere al piano di risanamento è rappresentato dalla condizione di imprenditore commerciale soggetto a fallimento ai sensi dell’art. 1 l.f.. Sono dunque escluse tutte le categorie di soggetti che, pur incapaci di adempiere alle proprie obbligazioni, non possiedono i requisiti di legge per essere dichiarati falliti, tra cui principalmente il piccolo imprenditore e, ovviamente, l’insolvente civile.Per informazioni ed assistenza Tel 045 581358 E-mail info@interprofess.it

giovedì 1 ottobre 2009

Piano risanamento (art 67 LF): Finalità e natura

Il piano di risanamento e l’accordo di ristrutturazione sono istituti giuridici di nuova generazione, finalizzati a offrire all’imprenditore non solo in piena crisi ma anche alle difficoltà iniziali possibili rimedi alternativi al fallimento o ad altra analoga procedura concorsuale, in presenza di determinate condizioni previste dalla legge. Per facilitare l’approccio a questi nuovi istituti è indispensabile tenere presente che l’intento del legislatore della riforma è stato quello di offrire validi strumenti giuridici per riorganizzare l’impresa in crisi ove possibile, e per individuare una soluzione liquidatoria concordata con i creditori laddove la ripresa dell’attività imprenditoriale non rappresenti un’ipotesi praticabile. In questa direzione è stata impostata anche la riforma del concordato preventivo, come verrà illustrato negli interventi che seguono, con un’accentuazione delle possibilità di composizione bonaria della crisi e di conservazione del patrimonio rappresentato dall’insieme dei beni e dei rapporti commerciali e giuridici facenti capo all’imprenditore. Dunque l’offerta di alternative alla procedura fallimentare e alle altre procedure concorsuali liquidatorie da un lato e la negoziabilità della crisi tra imprenditore e creditori dall’altro rappresentano i due criteri cardine per comprendere tali istituti e per utilizzarli correttamente.
Con l’introduzione di questi nuovi strumenti a forte impronta negoziale anche l’intervento del giudice è stato ripensato, e così mentre si è ritenuto di affidare il piano di risanamento interamente alla libera determinazione delle parti, il giudice è chiamato a svolgere un ruolo di garante nella fase di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, fino ad assumere una maggiore incisività nel concordato preventivo con rinnovate caratteristiche rispetto alla disciplina ante riforma. Per contro l’accordo del debitore con il ceto creditorio assume diverse connotazioni e diverse intensità nelle singole ipotesi di risoluzione della crisi.
Caratteristica comune a tutte e tre le procedure e principale stimolo a farvi ricorso è la previsione dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in forza di un piano attestato, di un concordato preventivo o di un accordo omologato.
Per quanto concerne il piano di risanamento previsto dall’art. 67, comma 3, lettera d) l.f., la disciplina è scarna e ridotta all’essenziale. Non è previsto alcun controllo o intervento da parte dell’autorità giudiziaria e non è neppure previsto che debba intervenire uno specifico accordo tra l’imprenditore e i creditori. Tuttavia la dichiarata finalità di consentire il “risanamento della esposizione debitoria dell’impresa” e di “assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria” difficilmente potrebbe realizzarsi senza una partecipazione attiva e consenziente dei principali interlocutori dell’impresa, ovvero fornitori, prestatori d’opera e di servizi, lavoratori, ed enti finanziatori, tanto che a proposito del piano “attestato” si parla comunemente anche di “concordato stragiudiziale”.
Il programma affidato dal legislatore a tale strumento appare senz’altro promettente ancorchè impegnativo, non trattandosi soltanto di intervenire per eliminare lo stato di crisi, obbiettivo minimo assegnato dalla norma, ma anche di rimettere in moto il processo economico-produttivo aziendale.
Va tuttavia aggiunto che il piano attestato deve realizzare le finalità di risanamento senza l’ausilio proveniente dalla tutela derivante dalla moratoria dei pagamenti e dal divieto delle azioni esecutive individuali dei creditori, pur offrendo l’indubbio vantaggio dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti, dei pagamenti e delle garanzie, nonchè dell’esclusione di profili di responsabilità penale nel comportamento dei creditori collaboranti con l’impresa che cerca di superare il proprio stato di crisi.

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