sabato 3 ottobre 2009

Rivedere la politica comunitaria a favore dell’innovazione: fai sentire la tua voce

Dall’analisi dei progressi compiuti negli ultimi anni emerge che l'UE ha giustamente
individuato nell’innovazione il principale motore verso un futuro di prosperità. Tuttavia,
rendere l’UE uno spazio veramente dinamico per l’innovazione richiede attenzioni continue
ed esige di sfruttare meglio le potenzialità della cooperazione tra l’UE e i suoi Stati membri
attraverso attività e meglio modulate e coordinate a tutti i livelli.
Pertanto, analizzati i risultati finora ottenuti e gli insegnamenti tratti da quanto svolto, come chiesto dal Consiglio europeo, la Commissione entro la primavera del 2010 intende proporre agli Stati membri, e verificare la fattibilità, di una Legge europea a favore dell’innovazione che affronti tutte le condizioni per uno sviluppo sostenibile e sia una parte integrante e determinante del futuro percorso di riforma dell’UE.

A tal riguardo invita a partecipare ad un sondaggio sull'efficacia delle politiche comunitarie per l'innovazione.
Il sondaggio è disponibile al seguente indirizzo:
http://ec.europa.eu/enterprise/policies/innovation/files/consultation_en.doc

Per maggiori info si veda:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2009:0442:FIN:IT:PDF

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venerdì 2 ottobre 2009

Piano risanamento (art 67 LF): Redazione del piano

Si ritiene che il piano di risanamento ex art 67 legge fallimentare debba specificare analiticamente e dettagliatamente i singoli interventi programmati, nonché evidenziare la relativa tempistica di attuazione, onde scongiurare preventivamente e oggettivamente la formulazione di contestazioni avverso il piano medesimo e quindi garantire la protezione degli atti che ne sono stati esecuzione.

La redazione del piano, successivamente alla definizione delle strategie di risanamento, si sostanzia nella predisposizione dei seguenti documenti:
- conto economico previsionale (budget economico);
- stato patrimoniale previsionale (budget patrimoniale);
- rendiconto finanziario previsionale (budget finanziario).

L’arco temporale di riferimento deve risultare congruo con le azioni di intervento programmate: la costruzione dei budgets deve interessare il lasso temporale ragionevolmente necessario per il conseguimento degli obiettivi di risanamento dell’esposizione debitoria nonché del riequilibrio della situazione finanziaria.

Tralasciando gli aspetti tecnici di elaborazione dei singoli documenti, i quali rischierebbero di appesantire eccessivamente la presente trattazione, di seguito viene riportato lo schema da seguirsi nell’ambito del processo di elaborazione del business plan:
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Piano risanamento (art 67 LF): La relazione del professionista

L’art. 67, comma 3, lettera d), legge fallimentare, dispone che la ragionevolezza del piano debba essere attestata, ex ante, ai sensi dell’art. 2501-bis, comma 4, c.c., ovvero la norma che disciplina la fusione a seguito di acquisizione con indebitamento.
L’analogia sembra trovare la propria giustificazione nel fatto che in ambo i casi la normativa di riferimento richiede espressamente la “sistemazione” dei debiti, la quale deve essere dimostrata mediante un apposito business plan realistico e congruente, benché, nel caso della fusione, tale attività previsionale riguardi esclusivamente le obbligazioni contratte in seguito all’acquisizione delle azioni della società target, mentre, nel caso di specie, essa deve aver riguardo all’indebitamento complessivo.
Il rinvio operato dal legislatore all’art. 2501-bis, comma 4, c.c., il quale a sua volta richiama l’art. 2501-sexies c.c., è suscettibile di una duplice interpretazione, ovvero:
a) il richiamo all’art. 2501-sexies c.c. implica l’applicabilità di tutte le norme presupposte da tale disposto;
b) il rinvio all’art. 2501-sexies c.c. definisce esclusivamente il contenuto dell’attestazione che l’esperto è tenuto a rilasciare.

Laddove si ritenga corretto aderire alla prima soluzione, tesi ritenuta peraltro preferibile da parte della dottrina, l’esperto deve essere:
- un revisore contabile o una società di revisione iscritta nell’apposito albo tenuto presso il Ministero di Giustizia;
- una società di revisione, in caso di società quotate nei mercati regolamentati.

La designazione dell’esperto è lasciata alla libera iniziativa dell’imprenditore. (si veda in tal senso la pronuncia del Tribunale di Mantova del 31.03.2009 )

L’esperto, non può limitarsi a recepire i dati aziendali forniti dall’imprenditore senza effettuare alcun controllo degli stessi ed esimendosi dall’assunzione di responsabilità in ordine alla loro veridicità.
Il rinvio operato all’art. 2501-bis, c.c., infatti, implica l’applicabilità anche dell’art. 2501-sexies, comma 5, c.c.: ne consegue il potere – dovere dell’esperto di richiedere e ottenere tutte le informazioni utili. Argomentando diversamente, laddove, al verificarsi di talune circostanze, emergessero incongruenze e/o incompletezze rispetto alla documentazione a suo tempo fornita, l’esperto non potrebbe essere considerato esente da responsabilità.

L’attestazione di ragionevolezza del piano si estrinseca in una valutazione prognostica ex ante dell’attendibilità delle previsioni in esso contenute, ovvero della ragionevole probabilità che il medesimo, al momento della sua predisposizione, appaia idoneo a consentire il conseguimento del risultato sperato, come tale, la soluzione della crisi dell’impresa.
L’esperto, peraltro, non sembra possa limitarsi a una mera enunciazione di ragionevolezza del piano: egli, onde consentire ai terzi di poter congruamente valutare sia i requisiti del programma che l’attestazione medesima, si ritiene debba illustrare le ragioni che ne hanno consentito il rilascio. L’esperto, infatti, attestando la ragionevolezza del piano, ne garantisce indirettamente la sussistenza del requisito dell’idoneità, ovvero dell’adeguatezza al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della situazione finanziaria nonché del risanamento dell’esposizione debitoria.
L’esperto, dunque, deve attestare la verosimile razionalità – fattibilità del piano in relazione al conseguimento dei suddetti obiettivi, nonché, in particolare, evidenziare l’idoneità delle risorse finanziarie ad assorbire l’esposizione debitoria, operando pertanto un’esposizione descrittiva del cosiddetto turnaround aziendale.

Il piano, affinché possa essere ritenuto attendibile nonché realizzabile, deve possedere i seguenti requisiti, di cui l’esperto è tenuto a verificarne preventivamente la sussistenza:
- compatibilità con le dinamiche del mercato di riferimento;
- confrontabilità con i trends storici (l’onere dell’imprenditore di fornire elementi che possano attestare la validità e l’attendibilità dei risultati prospettici del piano è tanto più gravoso e imprescindibile quanto più essi si discostano da quelli passati, in particolare qualora appaia elevato il livello di difficoltà del piano medesimo);
- adeguatezza delle risorse disponibili in ordine al conseguimento degli obiettivi prefissati;
- coerenza della situazione di partenza con gli obiettivi e le modalità del piano, oltre che con le strategie economico – finanziarie in esso contemplate.

Il rilascio dell’attestazione in esame implica altresì l’effettuazione di ulteriori preventivi controlli finalizzati alla verifica della sussistenza dei seguenti elementi:
- la correttezza dei dati esposti nel piano;
- la conformità dei documenti previsionali agli standards raccomandati dai principi contabili;
- l’accuratezza di calcoli matematici;
- la competenza nonché le esperienze professionali dei soggetti responsabili del lavoro.

Il rilascio dell’attestazione di ragionevolezza ex art. 2501-bis, comma 3, c.c., sembra rappresentare il momento in cui possono ritenersi conseguiti gli effetti derogatori della revocatoria di cui all’art. 67, comma 3, lettera d), l.f., nell’ipotesi di successiva dichiarazione di fallimento dell’impresa, indipendentemente da qualsiasi pubblicazione del piano.
La tesi secondo la quale l’efficacia dell’esenzione potrebbe retroagire a una data antecedente il rilascio dell’attestazione, purché l’idoneità del piano sia stata riconosciuta, non sembra possa essere accolta, in quanto il giudizio dell’esperto rappresenta un elemento essenziale e imprescindibile, in assenza del quale l’immunizzazione da revocatoria degli atti compiuti dall’imprenditore non può realizzarsi.

Parte della dottrina sostiene che il rilascio di siffatta attestazione non precluda la possibilità della proposizione di un’azione risarcitoria da parte del curatore ovvero dei soli creditori laddove vi sia un pregiudizio economico ricollegabile causalmente all’operato di una banca che, avendo erogato credito all’impresa successivamente rivelatasi insolvente e come tale dichiarata fallita, abbia indotto altri creditori a concedere credito ovvero a fornire beni o servizi nei confronti della medesima.

L’astratta risanabilità dell’azienda presupposta da un piano liquidatorio, anche di tipo misto, ovvero finalizzato alla conservazione dell’integrità di uno o più rami dell’azienda, non è sufficiente a legittimarne l’adozione: sussiste convenienza economica alla ristrutturazione, infatti, unicamente allorquando sia ipotizzabile un’adeguata remunerazione del capitale a tal fine necessario mediante i redditi prospettici e, comunque, laddove i costi necessari per la ristrutturazione siano di entità inferiore al valore dell’azienda risanata.
L’esperto, dunque, onde poter formulare un corretto giudizio in ordine alla ragionevolezza di un piano liquidatorio, è tenuto a verificare la sussistenza di margini di intervento nonché, in caso affermativo, della convenienza economica alla prospettata ristrutturazione. Risulta evidente che la discriminante è sempre rappresentata dalla corretta individuazione sia della tipologia di crisi che delle relative cause, circostanza che ribadisce il ruolo di primaria importanza che tale attività assume in sede di predisposizione della relazione in esame.
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Piano risanamento (art 67 LF): Interventi propedeutici alla redazione del piano di risanamento

L’impostazione di un piano di risanamento, ex art 67 legge fallimentare, non può prescindere da un’attenta e preventiva verifica di fattibilità, la quale implica un’altrettanto attenta e approfondita analisi dei vincoli esterni e interni all’impresa.

I vincoli esterni all’azienda sono rappresentati:
- dalle condizioni economiche, sociali, politiche e giuridiche dell’ambiente in cui l’azienda opera;
- dal mercato di sbocco e dalla domanda del prodotto realizzato e/o commercializzato dall’impresa;
- dai punti di forza e di debolezza dei concorrenti;
- dalla situazione del mercato del lavoro, della tecnologia e degli altri fattori produttivi necessari allo svolgimento dell’attività d’impresa;
- dalla situazione del mercato dei capitali.

I vincoli interni all’azienda sono i seguenti:
- la disponibilità di personale dotato del necessario know how;
- il possesso di adeguate risorse tecnologiche;
- la reperibilità di fattori produttivi adeguati;
- la disponibilità di risorse finanziarie adeguate;
- la struttura organizzativa interna;
- le relazioni umane tra i soggetti dell’impresa.

Il piano, dovendo fornire l’evidenza numerica dei singoli interventi di risanamento previsti, quanto meno di quelli di maggiore importanza, richiede la preventiva formulazione della previsione delle sue risultanze, da effettuarsi sulla scorta della situazione di partenza nonché, in particolare, delle informazioni acquisite mediante l’analisi di bilancio.

Tale fase, dunque, assume fondamentale rilievo in quanto consente all’esperto di poter accertare l’esistenza o meno della concreta possibilità di realizzazione degli obiettivi programmati, ovvero della ragionevolezza del piano.
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Piano risanamento (art 67 LF): Valutazione comparata del risanamento e delle ipotesi alternative di cessione e di liquidazione

L’utilizzo dell’istituto ex art 67 legge fallimentare sembra sia precluso all’imprenditore che, mediante il piano, intenda attuare un processo di liquidazione dell’azienda, in quanto il piano di cui all’art. 67 l.f., diversamente dagli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis l.f. nonché dal concordato preventivo, stante il riferimento al riequilibrio della situazione finanziaria, sembra presupporre una visione dinamica dell’attività, ovvero la continuità aziendale.
L’accoglimento di siffatta interpretazione normativa consentirebbe di giustificare, da un lato, l’unilateralità dell’atto e quindi l’assenza di un’apposita procedura omologatoria ovvero di una speciale vicenda concorsuale, dall’altro, il vincolo giuridico del riequilibrio della situazione finanziaria, il quale, infatti, sembra presupporre una visione dinamica dell’attività nonché costituire l’effetto indispensabile di una programmazione aziendale che preluda, mediante il superamento della crisi, alla prosecuzione dell’attività d’impresa.

Si ritiene, comunque, che, benché la continuità aziendale sembri costituire l’obiettivo finale che il legislatore ha inteso privilegiare, non sia dato escludere che il piano possa prefiggersi il conseguimento del risanamento mediante la parziale liquidazione dell’impresa, ritenendo plausibile la cessione di singoli rami d’azienda.
Si ritiene altresì che la formulazione di un piano che contempli un’ipotesi liquidatoria esclusivamente per il caso di insuccesso, ovvero laddove non vengano raggiunti gli obiettivi prefissati in termini di liquidità, solvibilità o redditività, possa essere ritenuta conforme al dettato normativo.
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Piano risanamento (art 67 LF): ricerca delle cause della crisi

Lo stato di crisi, del quale non esiste una definizione normativa, è uno status che, pur ricomprendendo la vera e propria insolvenza irreversibile, può anche consistere in uno squilibrio economico – finanziario che pone l’impresa a rischio di insolvenza.
Tenuto conto dell’avallo di siffatta impostazione fornito da parte della prevalente giurisprudenza, sembra pertanto corretto affermare che la nozione di “crisi” possa includere variegate situazioni di difficoltà gestionale che possono identificarsi tanto con la temporanea difficoltà ad adempiere (insolvenza reversibile), quanto con l’insolvenza irreversibile di cui all’art. 5 l.f..

Di insolvenza “reversibile” può parlarsi allorquando la crisi sia di natura finanziaria, la quale è caratterizzata dalla presenza di un rapporto insoddisfacente tra il fabbisogno finanziario e le fonti di finanziamento, ovvero, dalla presenza di mezzi finanziari inadeguati, sia quantitativamente che qualitativamente, per il sostenimento degli impegni gestionali.
Il fabbisogno finanziario è costituito dall’insieme degli investimenti (attivo dello stato patrimoniale); le fonti di finanziamento sono rappresentate dal passivo dello stato patrimoniale. Affinché si possa parlare di equilibrio finanziario è necessario che sussista un corretto rapporto di correlazione tra la struttura degli investimenti e quella dei finanziamenti. In particolare:
- la parte durevole degli investimenti (attivo immobilizzato) deve essere soddisfatta mediante il capitale di rischio nonché da quello di credito a medio/lungo termine [(Cp+Pc) – I > 0, dove Cp = capitale proprio, Pc = passività consolidate, I = immobilizzazioni];
- la parte degli investimenti a breve termine (attivo corrente) deve essere soddisfatta mediante finanziamenti anch’essi di tipo corrente [(Ab – Pb) > 0, dove Ab = attività correnti, Pb = passività correnti].

L’insolvenza “irreversibile”, al contrario, denota la presenza di una crisi di natura economico – finanziaria, il tertium genus individuato dalla dottrina aziendalistica, ove a una situazione di illiquidità si associa altresì la mancanza di equilibrio economico, quindi di redditività, ovvero l’incapacità dell’impresa di remunerare mediante i propri ricavi i fattori produttivi.

L’individuazione delle cause della crisi aziendale, dunque, costituisce una fase di estrema rilevanza, in quanto, corrispondendo a ciascuna di esse altrettanto differenti tipologie di crisi e, quindi, di criteri di apprezzamento delle soluzioni prospettabili, consente la formulazione di un corretto giudizio nonché la definizione delle più appropriate strategie di intervento.

Le cause di una crisi di natura finanziaria possono essere, a puro titolo esemplificativo, le seguenti:
- sottocapitalizzazione dovuta alla mancanza di mezzi propri dell’imprenditore ovvero a un scelta deliberata di non effettuare autofinanziamento;
- errori strategici in sede di formulazione di programmi di sviluppo (es. la realizzazione di un nuovo stabilimento non adeguatamente supportato da finanziamenti a medio/lungo termine);
- allungamento della durata dei crediti, con conseguente alterazione del ritmo dei flussi finanziari in entrata e perdita di correlazione con quelli in uscita;
- eccessivo ricorso all’indebitamento finanziario.

La crisi di natura economica può trarre origine da molteplici cause, tra le quali:
- decadimento commerciale dei prodotti;
- crisi della cultura di impresa, la quale può derivare da carenza di imprenditorialità, di innovazione, di creatività, etc.;
- obsolescenza dell’impianto produttivo;
- inefficienza della struttura organizzativa e/o produttiva (eccessivo aumento dei costi di struttura, di sviluppo dei prodotti, dei costi di distribuzione, dei costi per materie prime, etc.);
- perdita di competitività da imputarsi alla presenza di prodotti qualitativamente inferiori rispetto a quelli della concorrenza;
- eccessiva rigidità della struttura organizzativa e produttiva ovvero nelle risorse umane, circostanza che, in periodi di crisi generale del mercato, può portare all’adozione di politiche di ribasso al fine di ottenere ordinativi non remunerativi onde poter ottenere la parziale copertura dei costi fissi;
- crisi generale di mercato.
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Piano risanamento (art 67 LF): definizione delle strategie

L’individuazione delle cause generatrici della crisi e, quindi, della relativa tipologia consente la corretta definizione delle strategie di intervento.

La definizione delle strategie di risanamento, ex art 67 legge fallimentare, in virtù di quanto suggerito dalla dottrina, richiede l’adozione di forme similari a quelle del business plan, il quale, tecnicamente, si sostanzia in quattro documenti:
- piano industriale;
- conto economico previsionale (budget economico);
- stato patrimoniale previsionale (budget patrimoniale);
- rendiconto finanziario previsionale (tavole analitiche del cash flow previsto).

Occorre precisare che la predisposizione di un vero e proprio piano industriale si rende necessaria unicamente laddove il piano sia preordinato alla risoluzione di una crisi non soltanto finanziaria bensì anche economica. Ne consegue che, in presenza di una crisi di natura esclusivamente finanziaria possono assumersi come elementi prospettici attendibili i dati consuntivi desunti dall’ultimo conto economico (salvo mutamenti del mercato di riferimento); laddove la crisi sia altresì di natura economica, si rende necessaria la formulazione di nuovi obiettivi di marketing nonché di efficienza dei fattori produttivi.

Il piano sembra possa contemplare strategie alternative, da utilizzarsi unicamente qualora dovessero realizzarsi scostamenti significativi rispetto all’ipotesi principale.

In dottrina viene proposta la seguente classificazione degli interventi di risanamento, conformi alle varie tipologie di cause di crisi esposte nel precedente paragrafo:
1) rigenerazione dei valori aziendali (per esempio, implementazione di nuovi progetti, incremento del grado di soddisfazione della clientela, incremento del livello di motivazione del personale, etc.);
2) innovazione dei prodotti e dei processi produttivi;
3) riconversione produttiva (indispensabile allorquando la crisi sia imputabile a errori strategici associabili a crisi del settore nonché di saturazione del mercato);
4) nuovo orientamento strategico (per esempio, operazioni di dismissione, di scorporo, di liquidazione di rami aziendali, necessarie qualora lo sviluppo dell’impresa, in virtù di erronee strategie di portafoglio, sia stato realizzato in settori non correlati a quello della sua attività principale, quindi non rientranti nel core business dell’impresa);
5) ridimensionamento (realizzabile mediante licenziamenti, chiusura di stabilimenti, etc.);
6) ristrutturazione organizzativa interna (spesso si rende necessaria anche la sostituzione del management, onde conseguire la netta discontinuità rispetto alla gestione precedente, nonché la nomina di un consulente per la predisposizione di un piano di risanamento, al fine di infondere fiducia nei creditori e nei terzi che intrattengono rapporti con l’impresa);
7) creazione di un comitato di sorveglianza incaricato del monitoraggio del piano;
8) sostituzione di parte dei componenti gli organi sociali con soggetti “graditi” al comitato di sorveglianza;
9) ristrutturazione organizzativa esterna;
10) ristrutturazione tecnico produttiva.

Le strategie finalizzate al recupero dell’equilibrio economico finanziario, come tali dirette alla riduzione dell’indebitamento e alla generazione di liquidità, possono essere le seguenti:
- riduzione dell’indebitamento a breve termine operando la compensazione con titoli eventualmente costituiti in pegno;
- consolidamento, a un tasso rinegoziato, delle esposizioni debitorie sia a breve che a medio/lungo termine;
- mantenimento delle linee di credito autoliquidanti presenti al momento in cui la crisi è insorta;
- dismissione delle attività non remunerative ovvero ritenute non strategiche, nonché, eventualmente, dei beni ritenuti non strumentali, utilizzando il netto ricavo per la riduzione del passivo corrente, con conseguente miglioramento della situazione finanziaria e, quindi, degli indici di liquidità;
- ricapitalizzazione, ovvero introduzione di nuova finanza da parte dei soci;
- pactum de non petendo al fine di poter garantire la moratoria dei pagamenti nonché l’astensione dall’esercizio di azioni esecutive nel periodo di esecuzione del piano;
- datio in solutum di beni, con conseguente miglioramento della situazione finanziaria oltre che degli indici di liquidità laddove esse riguardino lo scambio tra attività o diritti immobilizzati con passività correnti.
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Piano risanamento (art 67 LF): le fasi di formazione del piano

La predisposizione del piano ex art. 67 legge fallimentare, pur non essendovi, come peraltro già precisato, schemi obbligatori ovvero preconfezionati cui attenersi, può articolarsi nelle seguenti fasi:
a) ricerca delle cause della crisi;
b) definizione delle strategie;
c) valutazione comparata del risanamento e delle ipotesi alternative di cessione e di liquidazione;
d) interventi propedeutici alla redazione del piano di risanamento;
e) redazione del piano;
f) attuazione e verifica dell’esecuzione del piano.
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Piano risanamento (art 67 LF) - Scopi: risanamento o ristrutturazione dei debiti

L’art. 67, comma 3, lettera d), legge fallimentare non tiene conto del fatto che, nella maggioranza dei casi, l’insostenibile esposizione debitoria trae origine da un precedente squilibrio economico.
Il legislatore, infatti, richiedendo la predisposizione di un piano “stragiudiziale attestato” idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria, nonché a consentire il riequilibrio della struttura finanziaria, ha inteso porre l’accento esclusivamente sull’aspetto finanziario.
Occorre osservare, però, che, laddove il piano persegua il solo obiettivo della eliminazione dello squilibrio finanziario nonché della riduzione dell’entità dei debiti, in assenza di interventi dal punto di vista economico (finalizzati, per esempio, alla riqualificazione dei processi produttivi ovvero all’incremento dei margini operativi di redditività), il rischio è rappresentato dal conseguimento di un ripristino solo temporaneo della solvibilità del debitore oltre che di risultati positivi esclusivamente nel breve periodo.
Trattasi, come è stato efficacemente osservato in dottrina, di uno strumento esoconcorsuale, di portata nettamente più ampia dei piani di cui all’art. 182 – bis, l.f., non essendo limitato esclusivamente alla ristrutturazione dei debiti.
Non appare pertanto concepibile la predisposizione di un piano che contempli esclusivamente interventi finalizzati soltanto alla riduzione dell’esposizione debitoria, in quanto il conseguimento di un equilibrio finanziario stabile presuppone necessariamente un processo di risanamento che investa l’impresa nel suo complesso, il quale, come tale, non può prescindere dalla preventiva rimozione delle cause di crisi economica e quindi dal ripristino di un rapporto equilibrato tra costi e ricavi.
Il piano di risanamento, come già rilevato, rappresenta infatti uno strumento utilizzabile per la gestione di operazioni di turnaround aziendale, aventi l’obiettivo del ripristino dell’equilibrio sia economico che finanziario.

Risanamento dell’esposizione debitoria
Il riequilibrio della situazione finanziaria richiesto dalla norma nonché il riferimento al risanamento dell’esposizione debitoria sembrano implicare la necessità del conseguimento, mediante l’esecuzione del piano, dell’integrale soddisfazione di tutti i creditori.
Tale assunto può ritenersi corretto unicamente in relazione a piani di tipo liquidatorio, i quali possono peraltro contemplare la prosecuzione temporanea dell’attività in vista della futura cessione dell’azienda, ma non anche in presenza di piani di natura dinamica, i quali, preludendo alla continuità aziendale, implicano ovviamente la presenza di debiti di funzionamento connessi alla correntezza della gestione operativa.
L’esposizione debitoria, dunque, deve ritenersi “risanata” laddove l’entità della medesima subisca una sensibile riduzione.

L’obiettivo del risanamento dell’esposizione debitoria può essere conseguito mediante interventi sia esterni che interni. A titolo puramente esemplificativo, rientrano nell’ambito della categoria degli interventi di matrice esterna:
- la ricapitalizzazione (apporti di patrimonio netto);
- il consolidamento dei debiti, ovvero l’impegno da parte dei creditori a non richiederne il pagamento prima di un termine prestabilito;
- la conversione dei crediti in capitale di rischio;
- la remissione di debiti;
- il pagamento in percentuale di taluni debiti, purché il creditore dichiari espressamente di voler rinunziare a una parte del proprio credito, conformemente alla proposta concordataria formulata stragiudizialmente da parte del debitore;
- la contrazione dei tassi di interesse sui finanziamenti bancari;
- l’erogazione di nuove risorse finanziarie mediante la conversione dei debiti a breve termine in debiti a medio lungo termine;
- la falcidia, ovvero il pagamento percentuale, di tutti i debiti, purché i creditori manifestino espressamente il consenso alla medesima, non potendo il debitore disporre dei diritti di soggetti estranei al piano. L’acquisizione del consenso dei creditori, peraltro, nella fattispecie considerata deve ritenersi indispensabile onde poter garantire il rispetto della par condicio creditorum. Laddove venga adottata tale strategia di intervento, il risanamento consente il conseguimento dell’integrale soddisfazione del ceto creditorio.

Sempre a titolo esemplificativo, rientrano nell’ambito della categoria degli interventi a matrice interna:
- la dismissione di beni strumentali non essenziali;
- la riduzione di costi di produzione;
- il licenziamento del personale in esubero.

Riequilibrio della situazione finanziaria
Il rischio aziendale diviene tanto più elevato quanto più alto risulti essere il rapporto tra il capitale dei terzi e quello proprio (o di rischio): ne consegue che il riequilibrio della situazione finanziaria implica la riduzione del grado di indebitamento dell’impresa.
La presenza di un disequilibrio finanziario, pertanto, denota la presenza di rapporto non soddisfacente tra l’entità del fabbisogno finanziario e quella delle fonti di finanziamento, oltre che di un’alterazione sia dell’entità che della cadenza temporale dei flussi finanziari in entrata e in uscita originati dai circuiti operativi della gestione.

Gli interventi finalizzati al ripristino dell’equilibrio finanziario richiedono la preventiva individuazione della tipologia di crisi oltre che delle relative cause, argomento di cui verrà trattato nel prosieguo.
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Piano risanamento (art 67 LF): Contenuto e oggetto

L’art. 67, comma 3, lettera d), legge fallimentare, stabilisce che sono esenti da revocatoria fallimentare “gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell’art. 2501 - bis, quarto comma, del codice civile”.

Il piano di risanamento, dunque, affinché possa produrre l’effetto di rendere immuni da revocatoria tutti gli atti compiuti dall’imprenditore, deve essere dotato dei seguenti requisiti:
a) idoneità a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa;
b) idoneità ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa;
c) ragionevolezza, asseverata mediante apposita relazione da parte di un esperto ai sensi dell’art. 2501 – bis, comma 4, c.c..

Il legislatore nulla dispone in merito al contenuto, alle formalità, alla struttura nonché al procedimento di formazione del piano: la norma richiamata, infatti, non presuppone né un accordo con i creditori, né una qualsiasi forma di procedimento giudiziario, come, per esempio, l’omologa oppure una particolare vicenda concorsuale.
Ne consegue che il piano può essere il frutto della volontà dell’imprenditore, ovvero consistere in un atto a iniziativa unilaterale, a formazione contrattuale meramente eventuale, la cui efficacia risulta essere del tutto svincolata da una condivisione negoziale e/o processuale.
Tenuto conto dei connotati tecnici che caratterizzano il piano, comunque, sembra innegabile che la predisposizione nonché l’elaborazione del medesimo debbano essere affidate a un professionista all’uopo prescelto.

Deve rilevarsi che la totale mancanza di un qualsiasi collegamento a istituti civilistici nonché di appositi criteri da osservarsi in sede di predisposizione del piano rischia di compromettere il successo di tale istituto.
A tale riguardo, occorre peraltro chiedersi se, in caso di insuccesso e, dunque, di successiva dichiarazione di fallimento dell’impresa, nonché laddove il curatore promuova un’azione finalizzata al conseguimento della declaratoria di inefficacia degli atti esecutivi del piano, il giudice investito della controversia abbia altresì il potere di entrare nel merito dell’attestazione di ragionevolezza rilasciata da parte dell’esperto e, quindi, di disattendere le determinazioni di quest’ultimo. La risoluzione della problematica, di ordine duplice, richiede di appurare in via preliminare se l’attestazione peritale in discorso sia dotata o meno del requisito della intangibilità.
L’attestazione di ragionevolezza del piano rilasciata dall’esperto potrebbe ritenersi dotata di siffatto requisito in virtù delle seguenti considerazioni:
- essa costituisce parte integrante di una perizia giurata;
- come verrà specificato nel prosieguo, non vi sono disposizioni normative che impongano il rispetto di condizioni minimali ovvero di principi cui attenersi in sede di predisposizione della relazione.
Pertanto, qualora siffatta interpretazione venga ritenuta meritevole di accoglimento, deve ritenersi negata non soltanto la sussistenza in capo al giudice del potere di esame di merito dell’attestazione, bensì anche la possibilità da parte di questi di sovvertirne i contenuti mediante l’utilizzo di parametri di valutazione diversi da quelli di cui l’esperto si è avvalso. Il giudice, pertanto, deve incentrare la propria valutazione esclusivamente sul piano; qualora ve ne siano i presupposti, può altresì valutare eventuali ipotesi di collusione da parte dell’esperto con gli organi societari e/o con il debitore.

Laddove, al contrario, si ritenga che l’attestazione di ragionevolezza non possa ritenersi dotata del requisito della intangibilità, stante l’assenza di disposizioni normative che impongano all’esperto il rispetto di condizioni minimali ovvero di principi cui attenersi in sede di predisposizione della relazione, deve riconoscersi in capo al giudice il potere di entrare nel merito dell’attestazione.
Pertanto, qualora si propenda per l’accoglimento di tale interpretazione, potrebbe verosimilmente accadere che un piano, benché la relativa idoneità a consentire il conseguimento degli obiettivi di cui all’art. 67 l.f. sia stata suffragata da parte dell’esperto, possa non essere considerato dotato di siffatto requisito da parte di un giudice che utilizzi, legittimamente e discrezionalmente, parametri di valutazione diversi da quelli considerati dall’esperto.

Occorre precisare che la sussistenza del requisito dell’idoneità del piano di risanamento, da riguardarsi dal punto di vista sia del redattore che dei terzi, ovviamente, non può essere mai posta in discussione ex post ma esclusivamente ex ante, dato che essa attiene necessariamente all’epoca della formazione del piano medesimo (si rinvia al capitolo concernente la contestazione del piano per gli opportuni approfondimenti della tematica).

La nozione di piano di cui all’art. 67, comma 3, lettera d), l.f., pertanto, si distacca completamente da quella di cui all’art. 182-bis, l.f., ove è richiesto l’accordo con tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti, nonché da quello contemplato nell’ambito del concordato preventivo di cui all’art. 160 l.f., ove viene richiesto il consenso della maggioranza. Il piano di risanamento in esame condivide con tali disposizioni esclusivamente l’immunità da revocatoria degli atti compiuti in sua esecuzione in caso di successiva dichiarazione di fallimento dell’imprenditore.
Il piano di risanamento, infatti, rappresenta uno strumento da utilizzarsi per la gestione di operazioni di turnaround aziendale, ovvero di riequilibrio economico e finanziario, ove il soddisfacimento dei creditori non rappresenta l’obiettivo diretto e primario che invece contraddistingue le altre tipologie di piani citate.


Il piano, dunque, tenuto conto di quanto sinora esposto, affinché possa produrre l’effetto della immunizzazione da revocatoria di tutti gli atti compiuti in sua esecuzione, in caso di insuccesso e di conseguente dichiarazione di fallimento dell’impresa, deve essere dotato dei seguenti requisiti:
a) il tenore descrittivo deve essere tale da evidenziare chiaramente la sua idoneità a raggiungere gli obiettivi di cui all’art. 67 l.f., ovvero la sua funzionalità al risanamento dell’esposizione debitoria e al riequilibrio della situazione finanziaria (cosiddetto requisito dell’apparenza);
b) la relativa ragionevolezza deve essere attestata da parte di un esperto ai sensi dell’art. 2501 – bis, comma 4, c.c..
Non vi sono ulteriori vincoli normativi quanto al contenuto del piano.

Si ribadisce che il requisito dell’apparenza deve essere riferito all’epoca in cui il piano è stato predisposto, nonché considerando il punto di vista sia del redattore che del terzo che potrebbe beneficiare dell’immunizzazione da revocatoria relativamente agli atti di realizzazione del piano medesimo.

Il piano deve apparire idoneo “…ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria…”: ne consegue che, avendo il legislatore chiaramente ipotizzato, mediante l’utilizzo di tale espressione, la sussistenza di una situazione di crisi aziendale, il presupposto oggettivo del piano è rappresentato dalla presenza di uno squilibrio finanziario, dunque di una crisi di natura analoga.
Il “risanamento dell’esposizione debitoria”, invece, sul quale il dettato normativo sembra porre l’enfasi, costituisce un obiettivo del piano, come tale non identificabile in un mero strumento finalizzato al ripristino dell’equilibrio finanziario. Il concetto di risanamento, infatti, sembra assumere un significato di portata più ampia rispetto a quello di ristrutturazione dei debiti, oggetto del piano di cui all’art. 182-bis l.f., in quanto esso sottende interventi che investono l’impresa nel suo complesso, non essendo concepibile il conseguimento di un equilibrio finanziario agendo esclusivamente sul lato debitorio.

Il piano, laddove la crisi non sia esclusivamente finanziaria bensì anche economica e, quindi, al disequilibrio tra la struttura degli investimenti e quella dei finanziamenti, si accompagni altresì l’incapacità di generazione della redditività, deve proporsi come mezzo di riorganizzazione aziendale globale e, come tale, deve contemplare misure di risanamento di natura sia economica che finanziaria.

L’analisi previsionale del fabbisogno finanziario di un’impresa in crisi, peraltro, non può prescindere né dall’inquadramento della gestione caratteristica, né dalle esigenze dei programmi di investimento nell’ottica della prosecuzione dell’attività d’impresa. Trattasi, in definitiva, di un’operazione di ristrutturazione globale che deve incidere sia sui debiti che sulla leva finanziaria.
Ne consegue che i piani di risanamento non possono avere un contenuto meramente dilatorio o remissorio, come invece accade laddove venga perseguita la finalità liquidatoria, dovendosi porre quale obiettivo di fondo la continuità aziendale, ovvero assumere prevalentemente natura dinamica.
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Piano risanamento (art 67 LF): Il presupposto oggettivo

Poiché il “piano di risanamento” non è una procedura in senso stretto, nell’art. 67 3° comma lett. d) legge fallimentare non si può ricercare un vero e proprio presupposto oggettivo di ammissibilità a una procedura concorsuale. La norma, infatti, nel riferirsi a un progetto industriale che sia idoneo a risanare e a riequilibrare la situazione economico-finanziaria dell’impresa, istituisce una figura negoziale che, almeno inizialmente, è assimilabile a un atto di gestione interno alla società.
Tuttavia proprio le caratteristiche che connotano tale atto di gestione, e in particolare la finalità di esentare dalla revocatoria fallimentare, fanno comprendere che l’applicazione dell’istituto presuppone che l’imprenditore che vi ricorre si debba trovare in una condizione tipica e oggettiva diversa dalla normale operatività d’impresa: tale condizione è costituita da uno stato di difficoltà economico-finanziaria equiparabile allo “stato di crisi”, non essendo possibile ricorrere ai vantaggi che la norma offre se l’impresa si trova in condizione di normalità e buona salute. Non è neppure richiesto un vero e proprio stato di insolvenza, posto che lo scopo principale della norma, che è quello di consentire all’impresa di riprendere con profitto la propria attività, appare meno facilmente perseguibile in una situazione di decozione. Va tuttavia aggiunto che è astrattamente possibile ricorrere al piano attestato anche in situazione di stato di insolvenza, che è espressione di un aggravamento della crisi d’impresa. Per una più ampia illustrazione dello stato di crisi si rimanda al capitolo sul concordato preventivo.
Il piano attestato può avere il contenuto più ampio e non richiede necessariamente uno specifico accordo tra l’imprenditore e parti terze. Il piano può consistere in un progetto unilaterale predisposto dall’imprenditore contenente in via esemplificativa ipotesi di scorporo, cessione di rami d’azienda, riassetto all’interno dell’organizzazione dell’impresa, conferimenti di nuovi beni o erogazioni di finanziamenti da parte dei soci, ovvero esplicarsi in uno o più accordi con terzi creditori tendenti alla rinegoziazione dei debiti o con nuovi investitori per l’aumento di capitale sociale o con soggetti finanziatori per ricevere nuova finanza liquida.
L’ipotesi che il piano attestato divenga lo strumento per concludere accordi di rinegoziazione dei debiti e per accedere a nuove opportunità nel mercato del credito è la più realistica, dato che esso si presenta quale strumento tipico per consentire la realizzazione di concordati stragiudiziali tra imprenditore-debitore e suoi creditori, concordati che anche prima della riforma venivano perseguiti senza, tuttavia, una specifica tutela apprestata dall’ordinamento giuridico.
L’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti, dei pagamenti e delle garanzie poste in essere con lo strumento in esame persegue l’evidente finalità di favorire tali accordi che debbono esaurire il loro iter senza alcun intervento da parte dell’autorità giudiziaria. Va aggiunto che, per contro, è prevedibile che tali piani potranno godere di maggiore fortuna tra interlocutori – imprenditore da una parte e terzi contraenti dall’altra - professionalmente organizzati e dotati di autonoma capacità di valutazione, prescindendo dalla garanzia che possono offrire le procedure caratterizzate da un controllo giudiziale esercitato, sia pure con limitate possibilità di sindacazione, nell’interesse della generalità dei creditori, come avviene negli accordi di ristrutturazione e nel concordato preventivo.
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Piano risanamento (art 67 LF):Il presupposto soggettivo

Al piano di risanamento di cui all’art. 67 comma 3, lettera d) legge fallimentare, detto comunemente anche “piano attestato”, possono fare ricorso tutti i soggetti passibili di fallimento. Si è indotti a tale conclusione, in assenza di un’espressa indicazione nel dettato normativo, dalla caratteristica principale dell’istituto, ovvero di esentare gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore, dalla revocatoria fallimentare, beneficio che non sarebbe ragionevole applicare a soggetti non fallibili. Tra i soggetti fallibili, che quindi possono ricorrere a tale strumento, vanno annoverati sia l’imprenditore costituito in forma collettiva, ovvero la società, sia l’imprenditore individuale, senza che possa costituire un ostacolo a ciò il richiamo all’art. 2501 - bis, quarto comma del codice civile, norma dettata in tema di fusione tra società conseguente ad acquisizione per indebitamento (c.d. leveraged buy out). Tale norma, infatti, viene richiamata nell’ art. 67 comma 3, lettera d) l.f. al solo scopo di stabilire le caratteristiche che il piano deve possedere e non sembra che vi si debba fare ricorso, neppure indirettamente, per ricercare un’indicazione sul presupposto soggettivo di applicabilità della norma.
Pertanto il presupposto soggettivo per ricorrere al piano di risanamento è rappresentato dalla condizione di imprenditore commerciale soggetto a fallimento ai sensi dell’art. 1 l.f.. Sono dunque escluse tutte le categorie di soggetti che, pur incapaci di adempiere alle proprie obbligazioni, non possiedono i requisiti di legge per essere dichiarati falliti, tra cui principalmente il piccolo imprenditore e, ovviamente, l’insolvente civile.Per informazioni ed assistenza Tel 045 581358 E-mail info@interprofess.it

giovedì 1 ottobre 2009

Piano risanamento (art 67 LF): Finalità e natura

Il piano di risanamento e l’accordo di ristrutturazione sono istituti giuridici di nuova generazione, finalizzati a offrire all’imprenditore non solo in piena crisi ma anche alle difficoltà iniziali possibili rimedi alternativi al fallimento o ad altra analoga procedura concorsuale, in presenza di determinate condizioni previste dalla legge. Per facilitare l’approccio a questi nuovi istituti è indispensabile tenere presente che l’intento del legislatore della riforma è stato quello di offrire validi strumenti giuridici per riorganizzare l’impresa in crisi ove possibile, e per individuare una soluzione liquidatoria concordata con i creditori laddove la ripresa dell’attività imprenditoriale non rappresenti un’ipotesi praticabile. In questa direzione è stata impostata anche la riforma del concordato preventivo, come verrà illustrato negli interventi che seguono, con un’accentuazione delle possibilità di composizione bonaria della crisi e di conservazione del patrimonio rappresentato dall’insieme dei beni e dei rapporti commerciali e giuridici facenti capo all’imprenditore. Dunque l’offerta di alternative alla procedura fallimentare e alle altre procedure concorsuali liquidatorie da un lato e la negoziabilità della crisi tra imprenditore e creditori dall’altro rappresentano i due criteri cardine per comprendere tali istituti e per utilizzarli correttamente.
Con l’introduzione di questi nuovi strumenti a forte impronta negoziale anche l’intervento del giudice è stato ripensato, e così mentre si è ritenuto di affidare il piano di risanamento interamente alla libera determinazione delle parti, il giudice è chiamato a svolgere un ruolo di garante nella fase di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, fino ad assumere una maggiore incisività nel concordato preventivo con rinnovate caratteristiche rispetto alla disciplina ante riforma. Per contro l’accordo del debitore con il ceto creditorio assume diverse connotazioni e diverse intensità nelle singole ipotesi di risoluzione della crisi.
Caratteristica comune a tutte e tre le procedure e principale stimolo a farvi ricorso è la previsione dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in forza di un piano attestato, di un concordato preventivo o di un accordo omologato.
Per quanto concerne il piano di risanamento previsto dall’art. 67, comma 3, lettera d) l.f., la disciplina è scarna e ridotta all’essenziale. Non è previsto alcun controllo o intervento da parte dell’autorità giudiziaria e non è neppure previsto che debba intervenire uno specifico accordo tra l’imprenditore e i creditori. Tuttavia la dichiarata finalità di consentire il “risanamento della esposizione debitoria dell’impresa” e di “assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria” difficilmente potrebbe realizzarsi senza una partecipazione attiva e consenziente dei principali interlocutori dell’impresa, ovvero fornitori, prestatori d’opera e di servizi, lavoratori, ed enti finanziatori, tanto che a proposito del piano “attestato” si parla comunemente anche di “concordato stragiudiziale”.
Il programma affidato dal legislatore a tale strumento appare senz’altro promettente ancorchè impegnativo, non trattandosi soltanto di intervenire per eliminare lo stato di crisi, obbiettivo minimo assegnato dalla norma, ma anche di rimettere in moto il processo economico-produttivo aziendale.
Va tuttavia aggiunto che il piano attestato deve realizzare le finalità di risanamento senza l’ausilio proveniente dalla tutela derivante dalla moratoria dei pagamenti e dal divieto delle azioni esecutive individuali dei creditori, pur offrendo l’indubbio vantaggio dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti, dei pagamenti e delle garanzie, nonchè dell’esclusione di profili di responsabilità penale nel comportamento dei creditori collaboranti con l’impresa che cerca di superare il proprio stato di crisi.

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mercoledì 30 settembre 2009

Moratoria dei debiti - Caratteristiche per poterne usufruire

L'accordo del 3 agosto 2009 fra Ministero dell'economia e delle finanze, ABI e Associazioni dei rappresentanti delle imprese prevede che possano usufruire delle moratoria le imprese con le seguenti caratteristiche:
- avere non più di 250 dipendenti;
- avere un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro
- non avere rate scadute da più di 180 giorni
- avere adeguate prospettive economiche
- non usufruire, sulle posizioni per le quali si chiedono i benefici dell’Avviso comune, di agevolazioni pubbliche
- non avere procedure esecutive in corso
La domanda si intende accolta dalla banca, se la stessa, entro 30 giorni lavorativi dalla data della domanda, non rifiuti la richiesta in modo esplicito e motivato.
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Moratoria dei debiti - Dichiarazione di avere adeguate prospettive economiche

Secondo il modello che è stato predisposto da Abi e associazioni imprenditoriali, le imprese richiedenti la moratoria dei debiti, nonostante le difficoltà finanziarie temporanee dovute all'attuale congiuntura negativa, dovranno dichiarare di avere adeguate prospettive economiche e di continuità aziendale. L'accordo richiede che esistano la continuità aziendale e le prospettive economiche, ma non necessariamente la tensione o la difficoltà finanziaria temporanea; ne deriva pertanto che anche le imprese che non si trovano in difficoltà e che intondono usufruire della "moratoria" possono aderire alla sospensione bancaria sfruttandone i benefici.
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martedì 29 settembre 2009

Moratoria - Definito il modulo per sospendere i debiti

Nelle filiali delle banche sarà fra qualche giorno disponibile il modulo per presentare la domanda di moratoria di 12 mesi:- delle rate dei mutui e dei leasing- per l'allungamento delle scadenze dei debiti a breveLa moratoria è stata concordata nell'accordo del 3 agosto scorso tra Ministero dell'economia e delle finanze, ABI, Confindustria e le altre organizzazioni imprenditoriali.Il modulo è disponibile sul sito web dell'ABI all'indirizzo:http://www.abi.it/manager?action=show_document&portalId=1&documentId=10531%20
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giovedì 24 settembre 2009

Contributi per progetti di promozione e assistenza alle imprese (Legge 21/03/2001, n. 84, art. 5, c. 2, lett. d), e) ed f).)

Che cos’è
Tra i diversi interventi disciplinati dalla legge 84/2001 è prevista la concessione di contributi per lo svolgimento di attività di promozione e assistenza alle imprese, nonché di cooperazione economica internazionale, promossi e attuati dagli enti indicati all’art. 5 c. 2, lett. d), e) ed f), vale a dire ICE, INFORMEST, FDL Servizi Srl e UNIONCAMERE.
In particolare:
§ ICE per attività di promozione e assistenza alle imprese, costruzione di centri di monitoraggio e informazione in Italia e nell’area dei Balcani, formazione di giovani laureati sui processi di internazionalizzazione e commercio estero per imprese italiane e dell’area balcanica, attivazione dell’Antenna Adriatica, o strutture analoghe;
§ INFORMEST e FDL Servizi Srl per l’attività di promozione e assistenza alle imprese;
UNIONCAMERE per la promozione e il finanziamento di progetti presentati dal sistema camerale o da enti a questi facenti capo di provata esperienza e qualificazione

Procedure
I contributi di cui sopra sono riconosciuti successivamente all’approvazione delle proposte progettuali presentate da ICE, INFORMEST, FDL Servizi Srl e UNIONCAMERE (c.d. enti attuatori). A tali progetti possono partecipare imprese, associazioni e altri enti pubblici e privati. Le imprese e le associazioni non possono, invece, presentare direttamente progetti al Ministero. In seguito all’approvazione delle domande da parte dell’Unità Coordinamento Balcani del Ministero, gli enti attuatori riceveranno i contributi previsti dalla legge.

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Finanziamento agevolato dei crediti all’esportazione (D. Lgs. n. 143 del 31/03/1998)

Che cos’è
È uno strumento finalizzato a promuovere le esportazioni, consentendo alle imprese italiane di offrire alla controparte estera dilazioni di pagamento a condizioni competitive, tramite la concessione di contributi agli interessi.
Nel caso di credito fornitore (la dilazione è concessa alla controparte estera direttamente dall’impresa italiana esportatrice), il finanziamento del credito all’esportazione è costituito dallo smobilizzo di titoli, normalmente effettuato da un forfaiter, e l’intervento agevolativo è volto a coprire la differenza tra il valore attuale dei titoli al tasso agevolato e il valore del credito scontato a un tasso ritenuto congruo dalla SIMEST.
Nel caso di credito finanziario (il credito concesso all’acquirente/committente estero per il regolamento di esportazioni italiane è intermediato da soggetti finanziari), la SIMEST effettua un intervento cosiddetto di stabilizzazione nei confronti della banca finanziatrice, assicurando, nel corso del finanziamento, la copertura dell’eventuale differenza tra il costo della raccolta a breve e il tasso agevolato posto a carico del beneficiario del finanziamento.

Beneficiari
Tutte le imprese italiane. Sono agevolabili le esportazioni concernenti forniture di macchinari e impianti, studi, progettazioni, lavori e servizi, mentre sono escluse le esportazioni di beni di consumo (durevoli e non durevoli) e semilavorati o beni intermedi non destinati in via esclusiva a essere integrati in beni di investimento.

Caratteristiche dell’intervento
La durata del credito all’esportazione deve essere uguale o superiore a 24 mesi dal “punto di partenza del credito” (spedizione/consegna o, nel caso di impianti “chiavi in mano”, collaudo preliminare). La durata massima è determinata in base agli accordi internazionali (Consensus), in relazione alla categoria del paese e alle tipologie di operazioni.
I tassi d’interesse minimi applicabili (CIRR) sono stabiliti mensilmente in sede OCSE in relazione alle differenti valute di denominazione del credito all’esportazione. Essi sono determinati sulla base delle quotazioni di titoli pubblici a medio/lungo termine a cui viene sommato un margine dell’1%.
Il tasso CIRR viene fissato durante la fase di negoziazione dell’operazione o al momento della stipula del contratto con la controparte estera e resta fisso per tutta la durata del credito all’esportazione.
L’importo agevolabile è al massimo pari ad almeno il 15% deve essere regolata in contanti e coprire eventuali esborsi all’estero.

Procedura e tempi
Le richieste di contributo agli interessi sui finanziamenti concessi devono essere presentate dai soggetti interessati (banche italiane o estere o esportatori) alla SIMEST utilizzando apposito modulo.
Esse sono esaminate entro novanta giorni dal completamento della documentazione necessaria

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mercoledì 23 settembre 2009

Finanziamento agevolato di programmi di penetrazione commerciale volti a costituire insediamenti durevoli all’estero

(Legge n. 394 del 29/07/1981, art. 2 – D.M. n. 467 del 22/09/1999)

Che cos’è
È il finanziamento a tasso agevolato delle spese sostenute nella realizzazione di programmi di penetrazione commerciale finalizzati a costituire insediamenti durevoli in Paesi non appartenenti all’Unione Europea. I programmi di penetrazione commerciale devono avere come obiettivo la costituzione di una presenza stabile e qualificata dell’impresa nel Paese di destinazione del programma (per esempio: ufficio, showroom, magazzino, centro di assistenza e un solo negozio).

Beneficiari
Imprese italiane , esportatrici di beni e servizi. Sono escluse le imprese operanti nei settori elencati dall’art. 1, lett. A, B, C e F del Regolamento CE 1998/2006.
(Nota: I settori esclusi del regolamento CE sono quelli corrispondenti alle sotto elencate sezioni del Codice ATECO 2002: sezione A, agricoltura, caccia e silvicoltura; sezione B, pesca, piscicoltura e servizi connessi; sezione C – Div. CA10: estrazione di carbon fossile, lignite, torba; sezione D - Div. DA: industrie alimentari, delle bevande e del tabacco, con l’eccezione delle seguenti classi (che sono dunque ammissibili): produzione di gelati prodotti di panetteria e di pasticceria fresca, fette biscottate, biscotti, prodotti di pasticceria conservanti; paste alimentari,cuscus e prodotti farinacei simili, preparati omogeneizzati e alimenti dietetici, altri prodotti alimentari, bevande alcoliche distillate limitatamente ad acquaviti, liquori e ad altre bevande alcoliche e alle preparazioni alcoliche composte per la fabbricazione di bevande;
industria delle acque minerali e delle bibite analcoliche. Non sono ammissibili le domande di finanziamento di imprese attive anche marginalmente nei settori sopra richiamati).
Hanno priorità sui fondi: le piccole e le medie imprese, i loro consorzi e raggruppamenti, le società a prevalente capitale pubblico che operano per la commercializzazione all’estero dei prodotti delle PMI del Mezzogiorno.

Spese finanziabili
Sono ammissibili al finanziamento le spese sostenute nel periodo di realizzazione, che decorre dalla data di approvazione del programma e termina due anni dopo la stipula del contratto. Tali spese devono risultare coerenti con i programmi e le capacità organizzative, economiche e finanziarie del soggetto richiedente.
Nel caso in cui il programma sia volto al potenziamento di strutture già operanti all’estero, la spesa è ammissibile a condizione che risultino chiaramente le spese straordinarie e aggiuntive rispetto alla normale attività, derivanti dall’ampliamento della struttura permanente e/o del personale in loco.

Caratteristiche dell’intervento
La durata complessiva del finanziamento non può essere superiore a 7 anni dalla data di stipula del contratto di finanziamento.
Il tasso di interesse agevolato è pari al 40% del tasso di riferimento applicabile alle operazioni di credito all’esportazioni effettuate con raccolta all’interno a tassi variabili, vigente alla data di stipula al contratto di finanziamento.
Il finanziamento copre fino all’85% delle spese previste dal programma e può essere concesso per un importo non superiore a € 2.065.000,00 (fatte salve eventuali riduzioni di importo determinante dall’applicazione dell’art.2. comma 2. del Regolamento CE “de minimis”, che fissa in € 200.000,00 nell’arco di 3 esercizi finanziari l’importo complessivo degli aiuti pubblici concessi alla medesima impresa. L’importo è ridotto a € 100.000,00 euro qualora il beneficiario sia un’impresa attiva nel settore del trasporto su strada).
Per garantire il rimborso del capitale e dei relativi interessi, l’impresa deve prestare alla SIMEST, al momento della richiesta di erogazione, idonea garanzia. Le PMI che risultino sufficientemente affidabili e che siano operative da almeno tre anni, possono beneficiare di una riduzione della garanzia fino a un massimo del 40% del finanziamento concesso.

Procedura e tempi
La domanda deve essere presentata alla SIMEST e redatta su apposito modulo (scaricabile dal sito http://www.simest.it/); entro novanta giorni dalla data di arrivo, la SIMEST sottopone alla deliberazione del Comitato Agevolazioni – istituto presso la SIMEST – la proposta di finanziamento ed entro quindici giorni dalla decisione ne comunica l’esito all’impresa

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martedì 22 settembre 2009

Finanziamento agevolato e spese per la realizzazione di studi di fattibilità connessi a esportazioni o investimenti italiani all’estero

(D. Lgs. n. 143 del 31/03/1998, art. 22, comma 5, lett. b; D.M. n. 136 del 23/03/2000; D.L. n. 35 del 14/03/2005, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. n. 80 del 14/03/2005)

Che cos’è
È il finanziamento a tasso agevolato delle spese per la realizzazione di studi di fattibilità, collegati a esportazioni o investimenti italiani all’estero, in Paesi non appartenenti all’Unione Europea.

Beneficiari
Beneficiari sono le imprese Italiane, loro consorzi o associazioni, con priorità per le piccole e medie imprese. Sono escluse le imprese operanti nei settori elencati dall’art. 1, lett. A, B, C e F del Regolamento CE 1998/2006.
(I settori esclusi del regolamento CE sono quelli corrispondenti alle sotto elencate sezioni del Codice ATECO 2002: sezione A, agricoltura, caccia e silvicoltura; sezione B, pesca, piscicoltura e servizi connessi; sezione C – Div. CA10: estrazione di carbon fossile, lignite, torba; sezione D - Div. DA: industrie alimentari, delle bevande e del tabacco, con l’eccezione delle seguenti classi (che sono dunque ammissibili): produzione di gelati prodotti di panetteria e di pasticceria fresca, fette biscottate, biscotti, prodotti di pasticceria conservanti; paste alimentari,cuscus e prodotti farinacei simili, preparati omogeneizzati e alimenti dietetici, altri prodotti alimentari, bevande alcoliche distillate limitatamente ad acquaviti, liquori e ad altre bevande alcoliche e alle preparazioni alcoliche composte per la fabbricazione di bevande; industria delle acque minerali e delle bibite analcoliche. Non sono ammissibili le domande di finanziamento di imprese attive anche marginalmente nei settori sopra richiamati).

Spese finanziabili
Sono finanziabili al 100% le spese inserite nel preventivo. Il preventivo può comprendere, in particolare, salari o emolumenti dovuti a consulenti o esperti, viaggi, studi di supporto, test, altre spese di natura tecnica che risultino strettamente collegate allo studio da effettuare.

Caratteristiche dell’intervento
La durata complessiva del finanziamento non può essere superiore a 3 anni e sei mesi a partire dalla data di stipula del contratto.
Il tasso di interesse agevolato è pari al 25% del tasso di riferimento applicabile alle operazioni di credito all’esportazione effettuata con raccolta all’interno a tassi variabili, vigente alla data di stipula del contratto di finanziamento.
L’importo massimo del finanziamento è pari a € 361.000,00. Sono previsti, inoltre, massimali in relazione al singolo beneficiario, rispetto allo stesso investimento e alla complessiva esposizione verso il Fondo.
Ai fini della compatibilità dell’agevolazione con la disciplina comunitaria in tema di aiuti di Stato, in attuazione della regola cosiddetta “de minimis”, l’ammontare complessivo di aiuti concessi a ogni singola impresa non può superare nel triennio il tetto di € 200.000,00, risultante dalla sommatoria di tutte le agevolazioni percepite durante il periodo stesso, rientranti nel criterio “de minimis”. L’importo è ridotto a € 100.000,00 qualora il beneficiario sia un’impresa attiva nel settore del trasporto su strada.
L’agevolazione non si applica ai progetti delle imprese che, investendo all’estero, non prevedano il mantenimento sul territorio nazionale delle attività di ricerca, sviluppo, direzione commerciale, nonché di una parte sostanziale delle attività produttive.
Per garantire il rimborso del capitale e dei relativi interessi, l’impresa deve prestare alla SIMEST, al momento della richiesta di erogazione, idonea garanzia. Nel caso di PMI ritenute sufficientemente affidabile, la garanzia può essere ridotta fino a un massimo del 40% dell’importo finanziato

Procedura e tempi
La domanda deve essere presentata alla SIMEST e redatta su apposito modulo. Il Comitato Agevolazioni istituito presso la SIMEST delibera sulla concessione del finanziamento entro novanta giorni dalla ricezione della domanda. L’esito della richiesta di finanziamento è comunicato all’impresa beneficiaria entro cinque giorni dalla data della delibera del Comitato.

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Studi di prefattibilità e fattibilità connessi all'aggiudicazione di commesse in Paesi extra UE (D. Lgs. n. 143/1998; DM 136/2000)

Che cos’è
È il finanziamento a tasso agevolato delle spese per la realizzazione di studi di prefattibilità e di fattibilità, connessi all’aggiudicazione di commesse, il cui corrispettivo consista nei proventi derivanti dalla gestione dell’opera realizzata.
Ai fini del finanziamento, si intende per commessa ogni incarico per l’esecuzione di forniture o di lavori, ovvero per la prestazione di servizi, in Paesi non appartenenti all’Unione Europea.

Beneficiari
Beneficiari sono le imprese Italiane, loro consorzi o associazioni, con priorità per le piccole e medie imprese. Sono escluse le imprese operanti nei settori elencati dall’art. 1, lett. A, B, C e F del Regolamento CE 1998/2006.
(I settori esclusi del regolamento CE sono quelli corrispondenti alle sotto elencate sezioni del Codice ATECO 2002: sezione A, agricoltura, caccia e silvicoltura; sezione B, pesca, piscicoltura e servizi connessi; sezione C – Div. CA10: estrazione di carbon fossile, lignite, torba; sezione D - Div. DA: industrie alimentari, delle bevande e del tabacco, con l’eccezione delle seguenti classi (che sono dunque ammissibili): produzione di gelati prodotti di panetteria e di pasticceria fresca, fette biscottate, biscotti, prodotti di pasticceria conservanti; paste alimentari,cuscus e prodotti farinacei simili, preparati omogeneizzati e alimenti dietetici, altri prodotti alimentari, bevande alcoliche distillate limitatamente ad acquaviti, liquori e ad altre bevande alcoliche e alle preparazioni alcoliche composte per la fabbricazione di bevande; industria delle acque minerali e delle bibite analcoliche. Non sono ammissibili le domande di finanziamento di imprese attive anche marginalmente nei settori sopra richiamati).

Spese finanziabili
Sono ammissibili, nei limiti del 50% dell’importo preventivato e approvato dal Comitato Agevolazioni, le spese sostenute nel periodo di sei mesi a decorrere dalla data della delibera di concessione del finanziamento. In particolare, sono finanziabili le spese relative a salari, emolumenti dovuti a consulenti o esperti, viaggi, studi di supporto, test, altre spese di natura tecnica che risultino strettamente collegate allo studio da effettuare.

Caratteristiche dell’intervento
La durata complessiva del finanziamento non può essere superiore a tre anni e sei mesi a partire dalla data di stipula del contratto.
Il tasso di interesse agevolato è pari al 25% del tasso di riferimento applicabile alle operazioni di credito all’esportazione effettuate con raccolta all’interno a tassi variabili, vigente alla data di stipula del contratto di finanziamento.
Il limite massimo del finanziamento concepibile è pari a 361.000,00 euro.
Sono previsti, inoltre, massimali in relazione al singolo beneficiario, rispetto alla stessa commessa e alla complessiva esposizione verso il Fondo.
Ai fini della compatibilità dell’agevolazione con la disciplina comunitaria in tema di aiuti di Stato, in attuazione della regola cosiddetta “de minimis”, l’ammontare complessivo di aiuti concessi a ogni singola impresa non può superare nel triennio il tetto di 100.000,00 euro, risultante dalla sommatoria di tutte le agevolazioni percepite durante il periodo stesso, rientranti nel criterio “de minimis”.

Procedura e tempi
La domanda deve essere presentata alla SIMEST e redatta su apposito modulo. Il Comitato Agevolazioni istituito presso la SIMEST delibera sulla concessione del finanziamento entro novanta giorni dalla ricezione della domanda. L’esito della richiesta di finanziamento è comunicato all’impresa beneficiaria entro cinque giorni dalla data della delibera del Comitato.

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lunedì 21 settembre 2009

Formazione in periodo di crisi ?

Sembra un nonsenso, eppure…….

La direzione ed il personale aziendale nei momenti di buon andamento del mercato, sono impegnati totalmente nello sviluppo e nel raggiungere ciascuno, i propri obiettivi di vendita, di produzione, di profitto, ecc.
Le persone possono raggiungere quindi buoni risultati e far carriera all’interno di un’azienda, passando per esempio dal front-desk al coordinamento di più persone addette al rapporto con il pubblico, oppure dalla vendita diretta alla responsabilità di una zona in qualità di capo-area, o ancora da capo-area a direttore commerciale dell’azienda, e così via….

Ma spesso, a queste persone non viene fatta nessuna formazione specifica, perché quando arrivano risultati positivi, ci si domanda raramente come migliorare la preparazione e la formazione viene vista come una perdita di tempo e un costo inutile…… tanto i risultati vengono lo stesso.

Ma è proprio quando i risultati non arrivano che chi ha responsabilità di altri deve essere pronto ad indirizzare adeguatamente le persone che coordina, con indicazioni motivanti e connesse a strategie che, in tempi di crisi, possono cambiare anche molto rapidamente.
Queste risorse saranno preparate a farlo ?
….. probabilmente no, perché quello che sono chiamate a fare in tempi di crisi risulta essere spesso un lavoro diverso da quello che hanno sempre fatto !!!

Ecco perché può essere utile “in tempi di crisi” avere persone adeguatamente formate:
- come incentivare le vendite in periodi di crisi ?
- come reinventare un modello di business ?
- come gestire situazioni di stress ?
- come impostare la cassa integrazione ?
- come ottenere un vantaggio sui concorrenti in momenti di recessione ?
- come fornire di più a minor prezzo ?
- quali le modalità per creare liquidità in momenti di recessione ?
- come motivare le risorse aziendali in periodo di crisi

Sono tutti argomenti che quando il mercato è buono non si affrontano, mentre oggi c’è una grande necessità di conoscerli approfonditamente. E può essere fatto anche attraverso specifici programmi formativi a costo zero per l’azienda.

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venerdì 18 settembre 2009

L'aggregazione di più imprese nella ricerca di nuovi mercati

Se da uno studio di prefattibilità dovesse emergere che l’azienda da sola non può sostenere lo sforzo del progetto, o anche indipendentemente da questo, l’imprenditore potrà valutare se non sia il caso di coinvolgere nell’iniziativa anche altre imprese, magari che producono prodotti e/o servizi complementari rispetto al suo, e che potrebbero utilizzare gli stessi canali di distribuzione.
Questo, anche se ovviamente comporterebbe tempi più lunghi e una gestione più complessa, consentirebbe all’imprenditore di frazionare con altri il rischio dell’investimento e probabilmente di aumentare le possibilità di contatto con i potenziali clienti.
Viene da più fonti ribadito come sia necessario fare squadra, fare sistema, e sappiamo quanto sia difficile. Se è problematico nelle attività consolidate nel mercato domestico, non è detto che risulti impossibile su un nuovo progetto, dove tutto, o quasi, va impostato. Sarà sempre difficile, ma l’esperienza dimostra che lavorare insieme sul nuovo si può. Servono regole, serve metodo, ma non è impossibile, specie se all’interno delle aziende abbiamo una nuova generazione che a fianco del fondatore può prendersi carico dei nuovi progetti. Potrebbe essere la premessa per presentarsi più forti su un mercato che non è fatto per i deboli
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La scelta dei Paesi: verso quali Paesi intraprendere azioni di internazionalizzazione

Il video che segue è estratto da un percorso formativo dedicato alle strategie di ingresso sul mercato estero.
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L'approccio ai nuovi mercati

La significativa contrazione del mercato interno possono portare un’azienda che già non operi all’estero a ricercare nuovi sbocchi su altri mercati. In questo senso, abbiamo assistito ad una crescente partecipazione da parte degli imprenditori a missioni conoscitive in Paesi esteri, spesso organizzate da strutture istituzionali e/o associazioni di categoria.
Ma andare verso quali mercati ? Con quali conoscenze ? Con che strategie ? Con che prodotti ? Con quali mezzi?
Mentre la grande impresa e talvolta la media possono permettersi attività di ricerca sofisticate, con gli investimenti conseguenti, la piccola impresa ha mezzi molto più limitati, e di frequente tende a utilizzarli più nell’implementare tentativi di ingresso su nuovi mercati con azioni commerciali estemporanee, che nello studio del mercato e nell’impostazione di una conseguente strategia di penetrazione. Con esiti spesso assai deludenti.
Purtroppo è ancora abbastanza diffusa l’idea che quanto è adatto per il mercato nazionale possa essere adatto anche per il mercato estero. La conoscenza del Paese nel quale si intende entrare (cultura, esigenze, potere d’acquisto dei potenziali clienti, competitor, regole) è invece un fattore determinante dal quale non si può prescindere. Ciò che può essere apprezzato da un italiano non è necessariamente apprezzato anche da un americano, un russo o un cinese. Le differenze talvolta sono notevoli. Se non se ne tiene conto si rischia di fare degli investimenti su iniziative commerciali, o peggio anche produttive, che possono assumere la stessa connotazione della scommessa.
Ma oggi l’imprenditore può permettersi di scommettere ? O deve invece investire avendo una ragionevole certezza che le iniziative intraprese abbiano successo ?

Oggi sembra non esserci più spazio per l’improvvisazione. Un tempo, in un mercato in notevole espansione come lo è stato dal dopoguerra in avanti, l’idea geniale dell’imprenditore, la sua costanza, la determinazione e lo spirito di sacrificio erano gli elementi indispensabili per porre in essere iniziative di successo, e ne abbiamo avuto ampie conferme .
Oggi tali elementi sono ancora necessari, ma non bastano più.

Come limitare i rischi di insuccesso ?
L’imprenditore è ben conscio che aprire in nuovi mercati vuol dire investire. Una verifica da fare prima di intraprendere qualsiasi iniziativa sarà pertanto valutare la liquidità che la gestione corrente dell’impresa è in grado di generare, per sostenere gli investimenti atti a sviluppare un’attività su Paesi esteri. Se l’impresa non fosse in grado di generare la liquidità necessaria dovranno essere individuate per tempo delle modalità alternative. Da valutare anche l’attivazione di procedure che possono consentire l’accesso a finanziamenti agevolati.

Un aspetto rilevante da considerare è quindi il diverso livello di coinvolgimento che si può adottare operando in un nuovo Paese. Semplificando e volendo schematizzare i livelli di internazionalizzazione, possiamo avere:
- un livello zero, rappresentato dalle aziende che operano esclusivamente con il mercato interno;
- un primo livello, rappresentato dalle aziende che esportano sviluppando la propria attività di vendita direttamente dalla propria sede, e che instaurano un’attività relazionale con i potenziali clienti del Paese estero, tramite fiere, congressi, missioni di associazioni di categoria o contatti diretti;
- un secondo livello, rappresentato dalle aziende che strutturano accordi contrattuali con agenti, concessionari, distributori e tecnici operanti nel Paese estero di destinazione;
- un terzo livello, rappresentato dalle aziende con rapporti molto più radicati con partner esteri, per rapporti di subfornitura, o con trasferimento di tecnologie e know-how, o con delocalizzazioni produttive;
- un quarto livello, rappresentato dalle aziende che strutturano joint venture con soci esteri o che acquisiscono partecipazioni in aziende estere.

Un importante accorgimento è di procedere per fasi e non pretendere di passare dal livello zero al quarto senza graduare gli interventi. La cosa sembrerebbe più che ovvia, ma sono numerosi gli imprenditori che tendono ad accelerare il processo di espansione all’estero e a saltare passaggi importanti, aumentando così notevolmente le probabilità di non considerare o sottovalutare alcuni elementi che possono rivelarsi fondamentali, incrementando quindi il rischio di insuccesso dell’iniziativa.

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mercoledì 16 settembre 2009

Scontare i prodotti per incentivare le vendite ? Attenzione ! Può essere un boomerang

Nella fasi di recessione le aziende, nel domandarsi che strategie seguire per sostenere le proprie vendite, spesso sono portate a pensare ad una politica di riduzione dei prezzi dei propri prodotti e servizi.
Il ragionamento che ci sta dietro è semplice:
se i miei clienti hanno una capacità di spesa più limitata rispetto al passato e i miei margini me lo consentono, se riduco il prezzo del mio prodotto induco il cliente a continuare a comprare il bene da me, forse invoglierò altri a comprare il mio prodotto e, in attesa di tempi migliori, sostengo i miei ricavi, a scapito dei miei margini.

La logica di questa pratica è evidente, ma attenzione perché la sua attuazione può nascondere delle pericolose insidie.

Vediamo meglio:
Chiunque sborsi dei quattrini, che sia per comprare un’auto, una vacanza, una bevanda, vuole che al suo denaro guadagnato così faticosamente specie nei momenti di recessione, corrisponda un bene o un servizio di pari valore.
Il prezzo che viene corrisposto per acquistare un bene o un servizio è spesso percepito come un fattore determinante del valore percepito. Pertanto, in situazioni di mercato normali, più alto è il prezzo che un cliente corrisponde più elevato è il valore che lo stesso attribuisce a ciò che ha acquistato.

Se lo sconto viene praticato dal fornitore al solo scopo di sostenere le vendite, che riflessi avrà questo sul valore percepito dal cliente ?
Se gli sconti sono indiscriminati e non sono ben pensati, possiamo indurre il cliente a farsi qualche domanda sul valore del bene che gli sto dando.

Mi spiego con un esempio.
Nel corso della recessione del 2001-2002 una famosa catena di abbigliamento per sostenere le vendite ha ridotto i suoi prezzi del 15-20% che, nel breve periodo, ha dato i risultati attesi: sono incrementate le vendite e ridotto i margini. Dopo la fase di crisi l’azienda si è però ritrovata ad aver compromesso l’immagine del suo brand, e perso una buona quota della fascia medio-alta di mercato nella quale era collocata prima della riduzione dei prezzi.

A questa azienda gli sono voluti poi tre anni per recuperare la sua immagine e la quota di mercato originaria.

Praticare degli sconti non è assolutamente una cattiva idea, ma bisogna trovare delle modalità che permettano all’azienda di non compromettere la propria immagine e quota di mercato.

Per esempio una casa automobilistica giapponese per incentivare le vendite non ha ridotto il prezzo dei suoi prodotti, ma ha garantito al suo cliente, grazie ad una convenzione fatta con compagnia petrolifera, un prezzo notevolmente ridotto sul carburante per un periodo di tre anni. Ciò che è stato ridotto quindi non è il valore percepito sul prodotto, che resta immutato, ma quello della benzina, cioè dell’elemento che serve per far funzionare il prodotto.
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martedì 15 settembre 2009

Presentazione di questo IN punto web

Le turbolenze dei mercati mondiali ha portato conseguenze molto pesanti sulla maggioranza delle imprese italiane, con riduzione delle vendite, drenaggio di liquidità ed incertezza per il futuro. Come affrontare e gestire queste turbolenze ? Con quali strategie e modalità ?
In questo blog affrontiamo queste tematiche, raccogliendo testimonianze di chi vive in diretta queste problematiche, fornendo delle indicazioni per affrontarle con efficacia.